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Mercoledì, 27 Settembre 2006 21:01

Festa e identità tra incontro ed esclusione

Scritto da  Gerardo

Dopo aver ascoltato la sua “lezione magistrale”, abbiamo conversato con il prof. Peter Antes, eminente storico delle religioni, già presidente dell’Associazione Internazionale di Storia delle Religioni.
La prima questione che gli abbiamo posto muoveva dall’idea che la festa fosse ad un tempo momento di incontro e unificazione con l’altro ma anche di opposizione ed esclusione da esso.
Peter Antes – Come dicevo all’inizio della “lezione”, nell’assolvere la sua funzione identitaria, la festa mostra una caratteristica di incontro. Questo va considerato rivolto all’interno della cultura che la promuove. Al tempo stesso, l’evento festivo si rivolge all’esterno e allora rivela un carattere “esclusivo”; con ciò si fa in modo che il contenuto dell’evento realizzi una forma di opposizione all’altro da sé. La festa è dunque propagazione di un’impostazione religiosa ma allo stesso tempo è anche opposizione all’altro. In altri termini, il festivo assolve la sua funzione di rafforzamento identitario sia nel senso dell’aumentare la coesione interna del gruppo che la promuove, sia con il definire cosa questa identità non è. Nel primo caso ciò avviene attraverso la propagazione di un “credo” e dunque sembra chiaro che il motivo dell’incontro e dell’unificazione risieda nel primo dei due versanti.

D. – Questa unificazione, questo incontro, e la correlativa separazione ed opposizione, possono dunque venir scorte anche nei termini da lei richiamati del Vangelo di Luca a proposito del Natale, dove si legge: “Questa notte è nato il Salvatore, il Messia, il Signore”?
Peter Antes – Certamente. Con i tre appellativi, oltre a richiamarsi alla tradizione ebraica (messia), si intendeva rivolgersi a quella ellenistica. Così, se da un lato si poteva cogliere l’auspicio di coloro che vedevano l’umanità in attesa di un salvatore, da un altro, con il termine “signore”, si riusciva a marcare efficacemente il riferimento all’imperatore.
L’intento che possiamo scorgere in queste parole è dunque quello di richiamare e quindi riunire, sotto un unico riferimento ideale (etico e comunque religioso), due, se non più, diverse tradizioni, ridefinendone la identità in termini unitari, unificanti.
Se vogliamo, già in questo atteggiamento, possiamo scorgere una sorta di “violenza” tale che, ad esempio, il “pagano” che nel Natale non dovesse vedere la nascita del Salvatore, verrebbe a trovarsi escluso ed opposto al resto della comunità che invece in questo si riconosce. In altri termini, questa maniera di porre la questione ha un forte contenuto rivendicativo del fatto che quella che si intende promuovere è l’unica e vera religione e che, dato ciò, chi non vi dovesse aderire verrebbe automaticamente a trovarsi in posizione conflittuale.

D. – Si potrebbe concludere con dei riferimenti storici?
Peter Antes – La storia del Cristianesimo fornisce l’esempio che mi chiede. Agli inizi prevale nettamente il senso unificante e definitorio dell’identità. Potremmo segnare una linea di demarcazione con il riconoscimento del Cristianesimo da parte di Costantino ma è ben curioso – o forse neanche poi troppo… – che più tardi, già a partire da Teodosio, iniziasse a prevalere il secondo aspetto. E da lì fino alle Crociate che di questo rappresentano, sebbene tragicamente, l’apice. La violenza cui si accennava poc’anzi è qui ben visibile: il nostro Dio è il solo ed unico e la sua figura si estende fino a comprendere quelle già prefigurate da altri. “Non avrai altro Dio all’infuori di me”.

D. – E per dire una parola sull’attualità, in che termini vediamo oggi questa dinamica di unificazione e opposizione?
Peter Antes – Più che su questa dinamica, credo sia interessante riflettere sul fatto che l’attualità sembra potersi leggere come una sorta di ritorno al periodo del cristianesimo pre-costantiniano, sebbene ciò non sia vissuto senza tensioni. Da un lato ci si accorge che di fronte al pluralismo non può reggere un’idea così “forte” e dunque ci si avvia a rivedere la propria posizione. Da un altro questo è avvertito come una sfida di fronte alla quale, magari, rinnovare l’impegno, o come dite in Italia “tener duro”.
Una questione che tuttavia vorrei sottolineare consiste in questo parallelismo: nel tempo che andava da Cristo a Costantino c’erano molte religioni che coesistevano. Questo avveniva più e meno pacificamente ma non è solo questo il punto. Quello che è importante far rilevare è che tutte queste diverse confessioni si sottomettevano alla legge dell’Impero e che dunque il diritto, di per sé, restava “super partes”, assolvendo così una funzione di garante. Dopo Costantino, la più forte di queste religioni si è sentita in grado di far valere la sua forza e di imporsi a discapito delle altre, che dunque venivano considerate come “errori” da estirpare. Dopo Costantino, la religione cristiana, ormai tesa nel suo intento universalizzante (il cui significato già compare nel termine “cattolico”), pretese di diventare religione dello stato e rivendicò uno status sopra le altre.
Oggi, fortunatamente, l’umanità sembra lontana da questo modo di intendere la questione. Sebbene la lotta che alcune confessioni fanno contro il relativismo culturale non vada esattamente in questa direzione, mi sembra abbastanza chiaro che non è nei fondamenti di una concezione religiosa ma in un potere laico, come dicevamo “super partes”, che gli uomini cercano una soluzione ai loro conflitti.
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