Martedì, 25 Gennaio 2005 12:41

Convegno "Sacro, violenza, media"

Scritto da  Gerardo


I convegni organizzati dal CISRECO a Casole d’Elsa sono dedicati all’analisi di forme di religiosità implicita diffuse nella cultura di massa contemporanea. La prima edizione, nel 2003, si è incentrata sul riaccostamento tardo-moderno di salute e salvezza, quale si manifesta da un lato in diffuse forme di spiritualità immanente e carismatica, dall’altro in pratiche terapeutiche (le medicine non convenzionali, la new age) incentrate sul recupero di una dimensione moralmente significativa della salute, della malattia, della guarigione.
La seconda edizione, nel 2004, ha avuto come tema “l’ordine dell’invisibile”, ed ha posto a confronto rappresentazioni e dottrine religiose e aspetti della cultura popolare basati su un’ermeneutica di tracce che rimandano a una realtà nascosta più profonda di quella sensorialmente esperibile o di senso comune.

Il tema che proponiamo per il 2005 prende le mosse dalla definizione di sacro come tremendum e fascinans, elaborata dalla scuola fenomenologica di storia delle religioni. Secondo la nota espressione di Rudolf Otto, l’essenza del sacro consiste nell’esperienza di un “totalmente altro” (Ganz andere) che “è assolutamente al di là della sfera dell’usuale, del comprensibile e del familiare, e per questa ragione ‘nascosto’ ed in opposizione radicale con l’ordinario, e proprio in forza di ciò ricolmante l’animo di sbigottita sorpresa”.
L’esperienza del sacro è tipicamente ambivalente: essa atterrisce ma al tempo stesso attrae ed affascina, invitando al rapporto.
Questa duplice natura dell’epifania sacra si manifesterebbe in modo più aperto nelle religioni antiche e classiche, dove il rapporto con la divinità è insieme sublime e terrificante, e implica spesso atti di inusitata violenza, ad esempio di tipo sacrificale. Si tratta di quello stesso nesso fra sacralità e violenza che è stato sottolineato da René Girard, sia pure all’interno di un diverso quadro di riflessione – quello di una teoria piuttosto fantasiosa sulla necessità politica del capro espiatorio. Nelle religioni moderne l’esperienza ambivalente del tremendum-fascinans si attenua sempre più, lasciando progressivamente spazio agli elementi religiosi che Otto definisce “razionali” (morali, estetici e dottrinali); un processo che si compie definitivamente con la secolarizzazione, nel cui quadro il sublime-terrificante dell’apparizione e la correlata ritualità violenta non trovano più alcun posto, apparendo come scandalosi residui di una cultura arcaica e irrazionale.

Vi è un posto per tremendum e fascinans nella cultura di massa tardo-moderna? Vorremmo chiederci se l’esperienza di incontro con il radicalmente altro non caratterizzi almeno certe manifestazioni della violenza nel mondo contemporaneo, e soprattutto la rappresentazione (realistica e funzionale) della violenza nei mezzi di comunicazione di massa.
Ciò porta da un lato a interrogarsi su diverse modalità di messa in scena della violenza che implicano la ricerca di una esperienza di vertigine e di totale autenticità, e sulla sintassi simbolica che esse implicano: dalle “piccole” esplosioni di furore nella quotidianità (i raptus di follia, omicida, le “stragi scolastiche” come quella della Columbine High School) ai massacri genocidi come quelli del Ruanda e della ex-Jugoslavia, nei quali è spesso presente una dimensione di “festa di sangue”, compiuta da assassini in condizione “estatica” che massacrano i corpi secondo precise regole simboliche.
Dall’altro lato, il problema da affrontare è quello della disseminazione delle immagini della violenza nei media. E’ chiaro che, sia pure all’interno delle peculiari modalità di fruizione della cultura mediale, le immagini della violenza giocano il ruolo cruciale di incontro con un Evento non ordinario, che ci porta al cuore dell’autenticità delle cose.
L’immagine ossessivamente ripetuta degli aerei che si schiantano sulle Twin Towers ne è il paradigma: innegabilmente, è una miscela di fascino e di terrore quella che ci ha tenuto attanagliati di fronte al video in quelle ore dell’11 settembre, oppure all’inizio dei bombardamenti americani su Baghdad, o anche di fronte alla manifestazione di violenza “naturale” dello tsunami.
Dalle prime foto di guerra, la cui storia è ricostruita da Susan Sontag in Davanti al dolore degli altri, fino alla copertura televisiva in diretta dei moderni conflitti, l’effetto di autenticità è ricercato attraverso una particolare retorica rappresentativa – che si fonde, fino a risultarne talvolta indistinguibile, con le retoriche e gli stili della fiction (quante volte si è detto che le immagini dell’11 settembre sembravano un film di fantascienza?).
La violenza reale e quella rappresentata si fondono poi in recenti fenomeni, nei quali la violenza è agita ai fini della sua ripresa e riproduzione mediale: è il caso dei filmati sulle decapitazioni dei prigionieri dei terroristi in Iraq; o, per altri versi, delle “pose” dei prigionieri torturati nella prigione americana di Abu-Ghraib.
Entrambe le forme di rappresentazione, realistica e funzionale, si portano dietro l’ambiguità originaria del “sacro”, che si articola in una ulteriore e irriducibile tensione fra possibili significati: documentazione oggettiva e spettacolo pornografico, denuncia etico-politica e attrazione voyeuristica, emergenza di sentimenti di pietà e solidarietà e, dall’altro lato, del lacaniano “doppio osceno superegoico”.

Il cinema, più che la saggistica, ci avvicina talvolta a questo denso nucleo problematico, con film come, ad esempio, Videodrome di Cronenberg, Natural Born Killers di Stone e, soprattutto, Salò di Pasolini – che ne offre la rappresentazione artistica forse più profonda e, proprio per questo, più inquietante e disturbante.
Il film di Pasolini ci segnala un nesso che non è presente nella definizione fenomenologica di sacro; ci mostra l’intreccio inestricabile tra un sacro distorto in osceno spettacolo dell’umiliazione e della violenza e la dimensione del potere. La violenza è sempre in qualche misura spettacolo del potere che si inscrive nei corpi, come nella macchina di tortura evocata da Kafka in Nella colonia penale; è il momento esaltante di un potere che si manifesta allo stato puro, al di là di ogni vincolo morale (coì come, all’altra estremità del continuum, troviamo uno stato zero dell’etica nella pura epifania del sacro). Ciò conduce nuovamente all’intuizione girardiana (ma già di Freud e Frazer) di un rapporto tra sacro, violenza e teoria politica.
Hannah Arendt, per la verità, ha trattato violenza e potere come termini reciprocamente escludentisi: il potere perfetto non ha bisogno di violenza, così come nella pura violenza non trova spazio la politica. Tuttavia, nelle situazioni imperfette in cui per lo più viviamo, capita che le due dimensioni abbiano bisogno l’una dell’altra.
Lo scandalo di Abu-Ghraib non ha forse a che fare solo con il mancato rispetto di diritti umani, ma con il rendere visibile e manifesto quello che non dovrebbe esserlo. Autorappresentandosi come privo sia di violenza che di sacro, lo stato contemporaneo proietta entrambe le condizioni al di fuori di sè, facendone fonte di incessante produzione culturale. A questo proposito in una società come la nostra esposta all'influenza dei "media questa soggettività dei numeri diventa dominante e accresce l'instabilità e l'insicurezza dell'insieme.
Il rapporto ultimo del Censis documenta questa condizione di fragilità e di mutevolezza del paese. Il ritorno, degradato, della violenza,del sacro e la crescita dell'artificiale di scienza e di diritto rompono l'aurea tranquillità in cui vorremmo vivere.
Come affrontare i complessi impegni che abbiamo di fronte?
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