Martedì, 12 Dicembre 2006 18:23

A Poggibonsi una ispirata conversazione con Monsignor Gianfranco Ravasi

Scritto da  Gerardo

Riportiamo qui di seguito l’articolo che Giuseppe Picone ha scritto per il Corriere di Siena a margine dell’intervento di Mons. Ravasi al ciclo di conferenze Etsi Deus non daretur, che, con una straordinaria risposta in termini di pubblico, si è tenuto lo scorso giovedì 30 novembre 2006.

A Poggibonsi una ispirata conversazione con Monsignor Gianfranco Ravasi

Non è passata inosservata la visita che Monsignor Gianfranco Ravasi ha fatto a Poggibonsi qualche giorno fa e la relativa conferenza che ha tenuto al Cinema Garibaldi. Un cinema gremito come se si fosse trattato di una prima eccezionale. Un pubblico attentissimo e silenzioso, una parte del quale aveva atteso Ravasi ben prima dell’inizio della conferenza mettendosi in fila per chiedere una dedica su uno dei tanti libri che formano la copiosa bibliografia del grande biblista e uomo di fede e scambiare qualche preziosa parola.
La conferenza dal titolo “L’uomo contemporaneo tra fede e indifferenza” faceva parte di un programma articolato comprendente convegni, incontri e incentrato sul tema della religione dei diritti e dei diritti della religione, organizzato dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Poggibonsi e dal Centro Internazionale di Studi sul Religioso Contemporaneo di San Gimignano, che sempre più sta consolidando la sua vocazione valdelsana.
Come i grandi pittori italiani dell’Umanesimo e del Rinascimento, Ravasi ha tratteggiato due grandi coppie di tavole. La coppia di tavole rappresentanti l’indifferenza e di fronte l’altra coppia rappresentante la fede. Nella prima tavola della indifferenza ha illustrato con potenti colpi di penello le grandi personalità dell’ateismo storico fra le quali eccelle il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche (che proclama ne “La gaia scienza” che Dio è morto), un ateismo prometeico profondo drammatico che Ravasi in qualche modo rimpiange a fronte della freddezza, dell’apatia, dell’homo televisivus odierno (e siamo nella seconda tavola dell’indifferenza) il quale non sente più la mancanza (di Dio, dei valori) come mancanza, ma è avvolto nel vaniloquio, nella superficialità, in una nebbi indistinta, riducendo la fiaccola dell’umanità a mera corteccia, a guscio vuoto.
Di fronte la coppia delle tavole della fede. Qui con un andamento di tipo chiasmico, la prima tavola che Ravasi ci mette di fronte è quella di una religiosità fragile, una sorta di religiosità à la page, tipo New Age, con divinità fatte a propria immagine e somiglianza, dove il credere non incide nelle esistenze, nelle scelte, nelle opzioni come invece fa la religiosità autentica (e siamo arrivati alla quarta e ultima tavola). L’autentica religiosità contempla una fede che non è mero sentimento, ma ricerca. Una fede che non può essere imposta, ma è una scelta libera e creativa. Infatti un credo religioso si può imporre, ma la fede non può essere imposta. La fede è inquietudine. Una realtà ardua, ma anche esaltante. Si coniuga con l’amore, la vita, la morte, l’oltremorte. Ti conduce alla rivelazione, alla parola di Dio. Allora in questo senso la religione è Dio, è trascendenza, è rischio.
L’incontro tra l’ateo e il credente può avvenire solo tenendo presente questa ultima esaltante tavola.
Sia l’ateo che il credente si troveranno allora ad affrontare il deserto. Il deserto della vita, delle domande senza risposta. Come in una poesia di padre Davide Maria Turoldo dedicata al fratello ateo e recitata a chiusura da Ravasi, occorre andare oltre il deserto e oltre la foresta delle fedi. Liberi e nudi. Nudi dai luoghi comuni. La meta è il Nudo Essere. Qualcosa che ci trascende. Non importa se chiamarlo Dio o meno. Quella è comunque la nostra comune meta.


Giuseppe Picone - San Gimignano, 5 dicembre 2006
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