Mercoledì, 30 Settembre 2015 20:14

FestivalFilosofia 2015 Ereditare. Recensione

Scritto da  Gerardo

Come promesso, grazie a Giuseppe Picone, pubblichiamo la ‘breve recensione’ al festivalfilosofia da poco conclusosi.







Filosofia e/o morte. Ereditare tra passato presente futuro
Una breve recensione.



Come legare il fatto che un ancor giovane filosofo ritiratosi nel 1927 nella Foresta Nera del Land del Baden-Württemberg tedesco, su un tavolo sostanzialmente nudo, abbia posto un malcerto punto finale a una opera filosofica densa di citazioni e echi provenienti da un pensiero filosofico millenario e che questo stesso uomo abbia convintamente sostenuto un regime che neppure venti anni dopo rese il suo paese un cumulo di macerie e che prima, per più di un decennio, inferse una ferita indelebile a tutta l’umanità. L’ancor giovane filosofo è naturalmente Martin Heidegger (1889-1976), l’opera fondamentale (a parere quasi unanime di chi si occupa del pensiero filosofico) è: “Sein und Zeit” / “Essere e tempo”. Il regime: quello nazista, i cui frutti avvelenati sono noti a tutti.
Venerdì 18 settembre 2015, l’esegesi critica dell’opera in questione svoltane da Donatella Di Cesare ha di fatto aperto la quindicesima edizione del FestivalFilosofia 2015 di Modena Carpi Sassuolo. La nostra filosofa, nonostante la sua netta posizione antinazista e contro l’antisemitismo (cosa che le sta costando il dover vivere sotto scorta), e nonostante anche la presa di distanza da Heidegger stesso (vedi la pubblicazione del suo “Heidegger e gli Ebrei - I quaderni neri” edito da Bollati Boringhieri, 2014), la nostra filosofa, dicevamo, si è comunque tenuta distante dalle nostre considerazioni. Ad una domanda specifica dal pubblico sul perché di questa plateale contraddizione, Donatella Di Cesare ha laconicamente risposto: “Non sequitur”: in “Essere e tempo” c’è un filosofo radicale. Non c’è una connessione immediata con il nazismo. E così sia.

Il caso ha voluto che il vostro cronista abbia seguito immediatamente dopo la lezione di Mario Vegetti. La cosa era piuttosto agevole: bastava uscire dalla tensostruttura di Piazza XX Settembre di Modena, fare cento passi e prendere posto in Piazza Grande sotto l’ombra della Ghirlandina restaurata ed avendo come pareti le bellissime mura bianche del Duomo e come tetto un azzurro e benevolo cielo settembrino. Ebbene raccontando da par suo l’”Apologia di Socrate” di Platone, Mario Vegetti ha parlato della morte di Socrate come “mito fondatore della nascita della filosofia”. Viene il dubbio che morte e filosofia siano strettamente connesse.

Il fatto è che avendo la quindicesima edizione del Festival come tema l’”Ereditare”, non si poteva fare a meno di fare i conti con la storia. E la storia, la nostra storia, è costellata da fatti e avvenimenti cruenti. Anche se spesso ce ne dimentichiamo. Non ne teniamo conto. Oppure li esorcizziamo relegandoli nei musei. E musei della memoria ne sono nati tantissimi sul declinare del ventesimo secolo, ma anche dopo. Perché quello che conta è il presente. Meglio il “presentismo”. Tema della bella e inquietante lezione di François Hartog. Inquietante perché secondo lo storico e filosofo parigino, alla museizzazione della storia per il tramite delle algide cattedrali innalzate alla memoria degli eventi storici, segue di pari passo la contemporanea scomparsa del passato ma anche del futuro.

Perché tutto questo? Ha cercato di spiegarlo Aleida Assmann tenendo la sua lezione magistrale il giorno dopo (sabato 19 settembre) a Sassuolo dal titolo “Memoria culturale”. La studiosa tedesca (insieme al marito Jan Assmann anche lui presente al Festival), corroborata da una teoria della scrittura e del ricordo che ricorda molto l’impostazione concettuale di un altro grande filosofo tedesco, Ernst Cassirer, partendo dagli ineluttabili dati storici, in primis la Shoah, ha formulato uno schema utile per confrontarsi con il peso del passato. C’è un primo approccio al passato che è quello di operare nei confronti di esso un taglio netto. Serve per vivere meglio il presente. Ma in questo caso si finisce inevitabilmente per punire ulteriormente le vittime. Un secondo criterio per affrontare il problema è quello del fare tabula rasa del passato. E’ la ricerca di un nuovo inizio. L’occhio qui è soprattutto volto al futuro. Ma ancora una volta si evita di fare i conti con il passato.
La via indicata da Aleida Assmann è molto più complessa. Occorre porre tra l’evento traumatico del passato, tra il passato che non passa e il futuro, un tratto di separazione. In questo “tratto” sta l’elaborazione critica nel presente di quello che è avvenuto. Questo “tratto” ci permette di fare i conti, fino in fondo, con il passato.
Forse, aggiungiamo noi, questo “tratto” si chiama “storia”.

Forse questa “storia” è quella a cui si riferiva l’innocente ma fondamentale domanda del figlioletto di Marc Bloch, quando domandava al padre: “Papà, a cosa serve la storia?”
Forse l’idea di fondo di quell’aureo libretto (“Apologia della storia o Mestiere di storico” Ed. Einaudi) dello storico francese (anche essa opera incompiuta, come “Essere e tempo”, ma per motivi diversissimi, come è tristemente noto) e cioè che una migliore e più approfondita conoscenza del passato potrà aiutarci a risolvere i problemi che attanagliano il nostro presente, e, aggiungiamo noi, indicarci una possibile strada che ci apra al futuro.

Quindi al “Non sequitur” da cui siamo partiti, possiamo senz’altro togliere il “non”. Anche se è una operazione complessa e soprattutto dolorosa.


San Gimignano, 29 settembre 2015
Giuseppe Picone







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