Domenica, 17 Novembre 2013 13:24

Riflessioni sulla morte

Scritto da  Gerardo

Riceviamo e volentieri pubblichiamo, con la certezza che Riccardo superi brillantemente i suoi timori.
Sicuri che anche il destinato della lettera trovi il modo di un segnale affettuoso.
Grazie. Con gli auguri più cari.
Arnaldo Nesti.




A S.E. Rev.ma Mons. Bruno Forte,
ti scrivo, una volta, ricordi, ci davamo del tu, dopo aver letto il tuo articolo su 'Il Sole 24 Ore' del 3 novembre 2013, 'Se la morte si eclissa nel cielo della vita', dove tu dici, ad un certo, punto che 'nell'evento della morte in Dio avvenuta sulla Croce si è rivelato, agli occhi della fede, il senso ultimo del vivere e del morire umano. Ad esso si rivolge la ricerca di una via, che faccia non solo della vita il cammino responsabile dell'imparare a morire, ma anche della morte il 'dies natalis', la porta misteriosa del nascere al di là della vita'.
Sono perfettamente d'accordo che il morire deve essere l'abbandono obbediente nel seno di Dio, fondato 'sul Suo eterno e fedele venire a ciascuno'.
Dal senso complessivo del tuo scritto mi sembra di capire (spero di sbagliarmi), che tu tracci il percorso che dovrebbe fare il fedele come un percorso fatto in solitudine: l'apertura all'al di là, l'abbandono nelle mani del Padre (esemplata sulla vicenda terrena del Cristo), pur essendo un atto straordinariamente bello, può ingenerare nel lettore l'idea di un cristianesimo (o meglio, di una cristianità), ancora prigioniero di un certo individualismo, proprio della metafisica del finito di matrice greca.
E' vero che si muore soli, ma non va dimenticato che la morte ha anche una dimensione (imprescindibilmente), intrinsecamente sociale, che molto spesso viene sottaciuta o non sufficientemente approfondita.
Faccio qui di seguito soltanto alcuni esempi.
Se la vita è vita comunitaria (che certo non annulla le singolarità, ma le apre all'altro), se soprattutto la fede cristiana richiede di essere vissuta in comunità (pensiamo al rito del battesimo, dove un'intera comunità accoglie il nuovo venuto al mondo), perché mai si dovrebbe andare dal battesimo come atto sociale alla morte come percorso solitario?
E poi, il dolore per la morte dei propri cari (dell'altro), non ci permette di superare la paura della nostra propria morte (come amore-dolore per l'altro), non è il superamento dell'homo clausus nel suo heideggeriano essere per la morte?
Ancora un esempio: non è insensato pensare che il morente possa soffrire per il dolore che provocherà negli altri la sua morte, e questo atteggiamento non è dunque un'apertura all'altro anche nel momento più drammatico e decisivo della vita, non ci fa intendere che c'è qualcosa nell'uomo più forte della morte, della sua morte, che permette il superamento della 'solitidine del morente' (per dirla con Norbert Elias)?
Anche nella prospettiva della propria morte possiamo essere un 'noi', e non chiusi nel nostro esclusivo dolore, riconoscendo a quest'ultimo un valore positivo, fecondante, perché ci fa uscire da noi stessi e ci permette di riconoscersi (attraverso l'amore e il dolore, sempre inestricabilmente uniti), come parte di una comunità più vasta.
Certo, alla fine resta, per il credente, l'abbandono fiducioso nelle braccia del Padre, ma questo è possibile, così io penso, soltanto se viviamo la nostra morte come fatto 'collettivo', se abbiamo visto il dolore degli altri e negli altri, senza restare in un rapporto 'solitario' con il Padre (forse sono blasfemo, ma non riesco a vedere il bisogno del Padre disgiunto dal bisogno e dall'amore per l'altro).
Questo percorso può essere fatto da tutti, credenti e non credenti, perché l'amore e il dolore sono la sostanza del nostro essere.
Non voglio assolutamente dire che nel tuo scritto ci siano questi 'limiti', ma mi è sembrato che sia stato trascurato l'altro aspetto della morte, ossia la sua socialità, nel senso che l'uomo, anche nel momento estremo, resta pur sempre un 'noi'.
Scusa la mia ignoranza, ma mi piacerebbe sapere se il cristianesimo ha sviluppato e approfondito anche la dimensione sociale della morte.
Queste riflessioni mi sono state suggerite non soltanto dall'importanza del tema e dalla profondità del tuo scritto, ma anche dalla mia situazione presente (mercoledì 20 novembre mi operano ad un nodulo nella regione parotidea, di incerta natura).

Un caro saluto, Riccardo Albani
Firenze, 16 novembre 2013

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