Concludiamo la "trilogia" di
Domenico Pizzuti, pubblicando la sua
dichiarazione, a seguito della recente marcia anticamorra e del Convegno delle chiese del Sud.
Chiesa e mafie. Una dichiarazione
di Domenico Pizzuti
Il richiamo a nette prese di posizioni nei confronti delle mafie, o meglio degli uomini che ne sono parte e preda con responsabilità personali, da parte della Chiesa emerso anche nel corso delle manifestazioni che hanno accompagnato la celebrazione della giornata della memoria e dell’impegno a Napoli e Casal di Principe, non è un appello a cambiar vita che normalmente interessa a chi non è presente ai proclami nelle chiese o nelle piazze, ma un messaggio quale quello del mercoledì delle ceneri “Convertitevi e credete al Vangelo” che è rivolto a tutti i cristiani e richiede coerenza, trasparenza, santità di vita secondo la tradizione cristiana. Nello stesso tempo induce a riflettere sulle occasioni più opportune per cambiar rotta, che certo è l’esperienza carceraria che può far ripensare la propria vita perduta nei circuiti viziosi delle organizzazioni criminali con l’accompagnamento degli operatori pastorali, laici, religiosi, sacerdoti che siano. E direi anche delle donne, che non chiudano volontariamente gli occhi sull’operato illecito e pericoloso dei loro cari e non sostengano per questo giustificazioni inesistenti ma aiutino una catarsi che restituisca alla vita ed alla società degli uomini.
Il problema sotto il profilo pastorale è più a monte, e riguarda la chiarezza dell’incompatibilità della mentalità e dell’agire mafioso o camorristico che sia con la mentalità e l’agire cristiano secondo le tavole delle dieci parole e delle beatitudini. In maniera più specifica sul pensiero cattolico e l’atteggiamento delle chiese nei confronti dei fenomeni camorristici, nonostante esemplari testimonianze che hanno pagato anche con la vita, si deve mettere in rilievo la carenza e diffusione di una riflessione specificamente teologica od etico-religiosa, in particolare sui rapporti tra religione e camorra che richiama a monte quella di un’elaborazione etico-religiosa e pastorale. Il riferimento è al feticismo religioso dei boss, alle aberrazioni morali del comportamento camorristico, alle deviazioni etiche e devozionali diffuse nelle subculture devianti e camorristiche, con prassi di affiliazione secondo modalità proprie della religiosità. Questa mancanza di una costante ed approfondita analisi si riversa sulla stessa debole traducibilità in una linea pastorale caratterizzata da un forte impatto sociale, capace di modellare una coscienza morale cristiana che rifiuti in tutte le sue forme la cultura e lo stile di vita camorristico. Più in generale con un’argomentazione anche teologicamente corretta nonostante atteggiamenti di esecrazione costante da parte della chiesa napoletana, secondo il sociologo napoletano G. Di Gennaro «al suo stesso interno non è ancora maturata la consapevolezza che i metodi, la cultura, gli stili di vita, le relazioni estese di cui è capace il sistema camorra sono “strutture di peccato” che alimentano quell’architettura illegale che soffoca la vita sociale». Tuttavia, si devono mettere in rilievo come segni virtuosi le varie forme di una mobilitazione che si è manifestata sul terreno del contrasto al crimine nell’area napoletana.
In conclusione, se il documento della Chiesa italiana “Sviluppo nella solidarietà. Chiesa italiana e Mezzogiorno” (1989) ha certo condotto a promuovere al livello di socializzazione anche religiosa la cultura della legalità ed in alcuni casi alla coscienza dell’incompatibilità della mentalità e dell’agire mafioso con l’appartenenza ecclesiale e la società degli uomini, il nuovo documento che è in preparazione dopo il Convegno delle chiese del Sud a Napoli, segna un passo deciso in questa direzione, anche per incerare la testimonianza don Puglisi e don Peppino Diana.
La convivenza sul territorio tra chiesa è abitati di famiglie camorristiche o mafiose non può significare connivenza o indifferenza da parte della comunità cristiana!