Mercoledì, 20 Maggio 2009 00:39

Nota sulla marcia dei bambini rom e napoletani organizzata domenica dalla Comunità di S. Egidio

Scritto da  Gerardo

A margine della "colorata e festosa marcia di bambini rom, napoletani ed africani […] promossa domenica scorsa dalla Comunità di S. Egidio per una convivenza pacifica non scontata per recenti episodi di intolleranza nella nostra città", riportiamo la riflessione di Domenico Pizzuti, dal titolo Una marcia per essere visibili.




Una marcia per essere visibili

Sulla colorata e festosa marcia di bambini rom, napoletani ed africani, mano nella mano, all’insegna di “Napoli città per tutti” promossa domenica scorsa dalla Comunità di S. Egidio per una convivenza pacifica non scontata per recenti episodi di intolleranza nella nostra città, pesavano sia la memoria del pogrom di un anno fa nei confronti dei campi rom di Ponticelli su cui non c’è stata ancora una rielaborazione critica collettiva dell’evento e tanto meno giustizia per accertamento di responsabilità dei raid incendiari, sia il recente torbido delitto di Marechiaro ad opera di due cittadini romeni abitanti per personale conoscenza in quell’ autentica discarica umana che è il campo di S. Maria del Pianto a ridosso del Cimitero di Poggioreale.

Pur senza determinismi sociologici, condividiamo nel discorso conclusivo le affermazioni di Don Gino Battaglia in riferimento ad una politica migratoria italiana restrittiva: “Una seria politica di inclusione riduce le zone grigie della clandestinità, della precarietà, della marginalità. E sono queste ad essere zone criminogene, non il paese d’origine o la cultura degli immigrati. Lo stesso vale per gli zingari. Sono decenni che vivono nei campi, vere e proprie discariche umane”. Tra tanti striscioni in Piazza del Gesù abbiamo notato uno che recitava eloquentemente: “La comunità romena contro la delinquenza”.

Senza cantare il peana della Comunità napoletana di S. Egidio che ha avuto il merito di portare e rendere visibili nel centro di Napoli i bambini rom, napoletani ed africani con bianche magliette e palloncini colorati, certo bisogna riconoscere che questo insolito assembramento festoso ed amichevole raccoglieva i frutti delle varie “Scuole della Pace” in quartieri di Napoli ma anche a Caserta e Castelvolturno per il sostegno scolastico e l’educazione alla pace e convivenza tra diversi. Potremmo chiamarla la via culturale all’integrazione ed alla convivenza pacifica tra appartenenze etniche e culturali diverse. Ma quanto diverse? Nel tragitto di ritorno in pullman con i ragazzi rom di Scampia mi colpiva la fluente conoscenza della lingua italiana e del repertorio musicale nostrano da parte di adolescenti appartenenti ad una seconda generazione di rom dell’ex-Jugoslavia che aveva seguito con frutto i percorsi scolastici che, al di là della permanente condizione di invivibilità dei campi nomadi spontanei, è l’aspetto più rilevante di integrazione culturale di questi anni avvenuta tramite la scolarizzazione promossa da famiglie ed associazioni. In tal modo questi adolescenti con la conoscenza della nostra madre lingua possiedono uno dei requisiti fondamentali per una cittadinanza da riconoscere. Al di là della retorica dei discorsi sulla pace, rilevava in un intervento un giovane afgano che l’accoglienza ed il riconoscimento significa essere chiamati per nome e cognome, e soggetti di diritti e doveri, al di là delle provenienze geografiche ed appartenenze etniche e culturali.

Sapranno le istituzioni ed amministrazioni pubbliche, al di là dei progetti di nuovi insediamenti più vivibili e ci auguriamo non ghettizzanti, raccogliere una buona volta questa sfida al riconoscimento, che significa nei modi più opportuni regolarizzazione e cittadinanza dei bambini e dei loro genitori che vivono in Italia da decenni? Si compirebbero i sogni di questi bambini con i palloncini con i loro desiderata liberati verso il cielo.

Napoli, 18 maggio 2009

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