XVI International Summer School on Religions:
Il colore della pelle di Dio. Forme del razzismo contemporaneo
San Gimignano (Siena),
28 agosto - 1° settembre 2009
Nel seguito puoi leggere l'
intervista al direttore, Arnaldo Nesti.
Come si presenta questa nuova Summer School?
È quasi incredibile per chi conosce la nostra Summer School prendere atto che siamo a questo incipit per la sedicesima volta.
Tutto cominciò nella Sala del Cenacolo del Monastero di Badia a Passignano (Tavarnelle Val di Pesa). Alcuni dei presenti, alludo al prof. Peter Antes, ricorderanno quel pomeriggio agostano del 28 agosto 1994. Il tema di quell'anno era "Identità europea e diversità religiosa nel mutamento europeo" (Firenze, 1995).
Da allora che cosa è cambiato?
A parte il trasferimento della sede da Passignano a S. Gimignano, fin da allora l'iniziativa fiorentina cercava di fuoriuscire come "international school", fra le prime, dalle mura universitarie, sul territorio, nell'intento di coinvolgere gli enti locali su tematiche politico-culturali di primaria importanza, anche a costo di desacralizzare l'aura accademica.
Lo sguardo all'Europa ben presto fece da sfondo alla riflessione della "school" andando oltre i confini nazionali, ma cercando di situarci entro gli orizzonti geografici del mediterraneo, in senso stretto. Ben presto oltre il mediterraneo geografico fu importante situarci, al di là dello stesso mediterraneo, coi suoi spazi geografici. In quelli storico-culturali che investono gli spazi latino americani.
Il profilo pertanto della nostra Summer School, fin dalle origini, fu una singolare messa a punto del "religious factor" nella sua complessa dinamica socio-culturale, all'interno del mare nostrum in senso lato.
Con gli anni, la messa a punto delle varie tematiche riflette il mutamento delle situazioni e l'emergere di nuove sensibilità storico culturali. Ne fanno fede i vari volumi pubblicati negli anni. L'ultimo volume con i contributi dell'anno passato, avrò il piacere di mostrarlo per la prima volta, appena uscito dalla tipografia, al momento della inaugurazione, il prossimo 28 agosto.
Si pensi alla rilevanza che sono andati assumendo i fenomeni mediali. Ai pensi ad esempio al concetto di vetrinizzazione.
Che cosa intende con tale concetto?
Il concetto di "vetrinizzazione" consente di interpretare in modo unitario numerosi fenomeni sociali. Chiarisce infatti il processo di progressiva spettacolarizzazione e valorizzazione che negli ultimi decenni ha investito i principali ambiti delle società occidentali: gli affetti, la sessualità, il corpo, l'attività sportiva, i media, il tempo libero, i luoghi del consumo, gli spazi urbani e persino le pratiche relative alla morte. L'individuo si è trovato così, per la prima volta, da solo di fronte alle merci e ha dovuto imparare a interpretare il loro linguaggio senza l'aiuto del venditore. Ha dovuto, cioè, abituarsi a leggere la comunicazione visiva, ma anche ad affrontare la vita in solitudine, nella nuova condizione sociale imposta dall'urbanizzazione e dalla modernità. Nel corso del Novecento, i media hanno progressivamente rafforzato il modello di comunicazione della vetrina, passando da un modello di fruizione collettiva (manifesti, cinema, televisione) a uno fondato sul consumo solitario (pay tv, Internet). Con il risultato che tutto oggi viene trasformato in fenomeno da "esporre in vetrina", e per gli individui la vetrinizzazione è diventata difficile da evitare.
Qual è dunque il tema della "S. Gimignano 2009"?
Di che colore è la pelle di Dio. Quest'anno la Summer School si trova ad affrontare un tema che non ci riguarda solo come studiosi, ma che ci investe nella nostra condizione di cittadini. Implica forti opzioni. Non è tollerabile il silenzio e il disinteresse di fronte all'emergere del razzismo. Nel contesto italiano le disposizioni in materia di sicurezza pubblica approvate dal parlamento hanno visto una larga mobilitazione volta a chiedere che il capo dello stato non le promulgasse. Nella legge sulla sicurezza il Presidente Napoletano non ha ravvisato palesi incostituzionalità, ma preoccupanti elementi di incoerenza e ha allertato le competenti istituzioni affinché vigilino.
Che cosa accadrà?
È paradossale dover ammettere che il principio di giustizia possa oggi esprimersi nel difendere i privilegi e la ricchezza, respingendo indiscriminatamente i migranti, nel coltivare un'idea della sicurezza centrata sull'egoismo e la chiusura (e per di più in un paese che ha conosciuto la tragedia della discriminazione con la migrazione nel mondo).
D'altra parte mentre nel nostro paese vengono partoriti disegni di questo tono, sul piano delle grandi organizzazioni internazionali gli studi sono orientati chiaramente nel considerare la possibilità di riconoscere le migrazioni "senza frontiere", sostenendo la libera circolazione delle persone. A proposito del principio di giustizia ritengo, seguendo Simone Weil, che si debba operare perché la distruttività e la violenza in ogni sua forma, vengano ridotte.
È drammatico che all'inizio del secolo rispuntino i razzismi. Il modello di democrazia autoritaria tende a raccordarsi in modo dissimile dal vero ed è a questo punto che la menzogna istituzionale diventa strumento di potere, deforma la realtà, indebolisce i poteri di garanzia, narcotizza la pubblica opinione.
La morale viene messa in soffitta, il teatro-spettacolo sostituisce la politica.
Il razzismo prende piede.
Che cosa intende con tale concetto?
È difficile trovare una descrizione del razzismo migliore di quella che si trova in "Sommersi e salvati" di Primo Levi. Lì il razzismo è associato al rapporto fra potere e identità collettiva. Accade che gli ultimi arrivati nella sfera dei privilegi divengano i difensori più crudeli e spietati di quella stessa sfera. Accade che ci si senta un'identità contro quelli che stanno fuori. Nell'analisi di Primo Levi si hanno di fronte i kapò: sono ebrei che sanno di dover morire eppure si prestano a fare gli aguzzini degli ebrei prigionieri come loro. La figura dei kapò ci suggerisce che lo stesso razzismo rappresenta un aspetto tragico delle relazioni di potere divenute per dirla con Foucault, stati di dominio. Non è il razzismo che spiega il dominio, ma è il domino che spiega il razzismo. Quando il proprio bisogno di riconoscimento si traduce nell'ottenimento di un privilegio, esso può portare a non riconoscere l'altro. Il problema che rispunta è sempre quello di un potere che si trasforma in dominio e che ottiene un consenso per potersi alimentare. Il rischio dell'oblio è altissimo, ma è tenuto alto maltrattando il ricorso al passato e manipolando l'identità collettiva. Molte sono le sfide che ci stano davanti, nello scenario mondiale. Non ci sono zone franche.
Rispuntano le contraddizioni i modo costante, Lorenzo Milani a proposito della innaturalità di clandestino e straniero scrive:
"Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che nel vostro senso io non ho patria e reclamo il diritto a dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall'altro. Gli uni sono la mia patria, gli altri, i miei stranieri".
Come si può definire l'evento di S. Gimignano anche rispetto ad altri eventi culturali estivi?
Da anni la Summer School di S. Gimignano ha preso un profilo sempre attinente alla crisi della società contemporanea. Questo è stato possibile grazie all'apporto dell'Asfer, della Università Metropolitana di Città del Messico, della cattedra De Martino sempre di quella città e grazie alla collaborazione della sezione di Sociologia della religione dell'Ais. In tal modo si è creato un insieme di energie che ha reso possibile una singolare palestra di indagine scientifica e di confronto fra le nuove generazioni su temi nevralgici del nostro tempo con una costante preoccupazione.
Quali le preoccupazioni costanti?
Una delle preoccupazioni è l'oltrepassamento dell'eurocentrismo, di cui Hegel è stato uno scandaloso rappresentante. Di fronte alle pretese imperialistiche dell'Occidente, che continua ad autovalutarsi come il fulcro della civiltà mondiale, con tutte le derive neocoloniali del caso, si tratta di lasciar parlare anche gli altri popoli, le altre culture; si tratta cioè di "spostare il centro del mondo" e di "lottare per le libertà culturali", espressioni riprese dal testo omonimo dello scrittore keniota Ngugi wa Thiong'o. Mettendo in sospensione il punto di vista eurocentrico, a torto considerato l'unico o quello principale, è possibile sperimentare altri angoli visuali, dando voce alle altre culture: affinché questo accada, è preventivamente necessario "decolonizzare la mente" (altro titolo di Ngugi), cioè togliere le sovrapposizioni categoriali di stampo eurocentrico. Questo esercizio catartico (che ha qualcosa in comune con la "decostruzione culturale" proposta dalla pedagogia interculturale) apre la strada ad un effettivo pluralismo e ad una rispettosa comunicazione tra le culture, al di fuori di qualsiasi pretesa etnocentrica.
Quali sono queste culture che non si lasciano omologare e che possono diventare punti di riferimento per una vera e propria "rieducazione interculturale"?
Qualche linea di tendenza alternativa all'occidentalizzazione si può trovare anche in Europa, ma in forme alquanto fumose o intellettualistiche, che non sono in grado di sostanziare una valida contro-cultura anticolonialista; il movimento altermondialista da noi non sembra per ora in grado di poter elaborare una via concreta verso un mondo nuovo. "Il movimento sembra averla invece in Brasile o in Messico, in India . Lì dove agiscono da più o meno tempo delle vere contro-culture anticolonialiste: da Malcom X e Spike Lee a Marcos e i suoi capi maya, dai contadini del Kerala e Arundhati Roy ai Sem Terra brasiliani, ai nativi mapuche…". In questi contesti, al posto del cerebralismo accademico e salottiero in voga da noi, prevale un orientamento pratico volto alla realizzazione di "un altro mondo qui e ora".
Secondo taluno troverebbe un'adeguata rappresentazione teorica nel testo di un filosofo europeo, l'irlandese John Holloway, il quale, in sintonia con l'invito di Arundhati, "intellettuali europei, entrate nella resistenza", "se ne è andato a lavorare nell'università autonoma di Puebla, in Messico". Il libro di Holloway porta un titolo avvincente: "Cambiare il mondo senza prendere il potere" (Univ. di Puebla / Ed. Intra Moenia, 2004). La sua portata "controculturale" consiste principalmente nel proporre, seguendo l'esperienza zapatista del Chiapas, una alternativa alle teorie occidentali del potere, le quali, di destra o di sinistra esse siano, puntano comunque sulla presa del potere (per via pacifica o rivoluzionaria, non importa) per poter cambiare il mondo. Lo cito per sottoporlo a commento. Nel mondo attuale non c'è bisogno di slogan, o al contrario di dibattiti noiosi e interminabili, e nemmeno di mega progetti pretenziosi, bensì di testimonianze concrete, di saggezza vissuta: un solo esempio vale più di una cascata di chiacchiere, di cui c'è inflazione. "Il più delle volte si è inclini, più che a vivere, a parlare di certe cose, anche perché è difficile viverle".
In questo contesto qual è il riferimento al fattore religioso?
Un tema quale quello del razzismo non ubbidisce solo a criteri economici o politici. Se ogni atto politico deve sottostare a principi morali assoluti, come sostiene T. Moro, il sacrificio di un individuo non è mai lecito. L'individuo viene prima dello stato. Oltre al diritto positivo stabilito nei vari momenti esiste il diritto naturale. Ed è a quest'ultimo che il diritto positivo deve conformarsi.
Fin dove deve giungere la nefandezza dei decreti e della gestione del potere perché il giudizio morale possa permettersi di diventare motivazione politica?
Mi riferisco ad una fervida discussione di questi giorni sulla stampa italiana. C'è una cosa che stupisce molto nell'intervento ad esempio di Angelo Panebianco su moralismo e riformismo (Corriere, 11/08). È la sicurezza con cui afferma che chiunque ponga al dibattito politico una questione morale si rende responsabile "di una immagine farsesca della politica, come luogo del confronto fra luce e tenebre". Stupisce, perché filosoficamente la questione dei rapporti fra morale e politica è talmente aperta che non è veramente legittimo liquidarla con un paio di battute, tanto sbrigative quanto sprezzanti, neppure nello spazio di una polemica. Acutamente la De Monticelli osserva al riguardo: "È solo una delle posizioni in gioco, anche se è stata quella largamente maggioritaria in Europa per tutto il secolo scorso: tanto maggioritaria da passare per il tritacarne della più spicciola filosofia della modernità insegnata ancora in tutte le scuole, con toni ora oracolari (Dio è morto, l'essenza del Nulla, il Destino dell'Occidente, la Tecnica come Volontà di Potenza), ora cinicamente teopolitici (che Dio ci sia o no, c'è la chiesa coi suoi valori forti e ben venga la sua "potestas indirecta", il principio di laicità dello stato è cosa astrattamente illuministica), ora storditamente post-moderni ("Addio alla verità" è il titolo di uno dei libri più recenti in questa vena). Una filosofia condivisa purtroppo anche da molti intellettuali che votano a sinistra. A tal punto lo scetticismo in materia di giudizio di valore è merce diffusa, che perfino molti, fra coloro che si sdegnano per tutto quello per cui c'è (io credo) obiettivamente di che sdegnarsi oggi in Italia, ritengono poi impossibile in linea di principio asserire che giudizi di valore come "questo è vergognoso" o "questo è ingiusto" possano essere veri, e come tali possano essere razionalmente argomentati, in modo che diventino anche universalmente (ri)conoscibili per veri fino a prova contraria. Fra le posizioni che minacciano ogni salda costruzione di un solido valore di riferimento c'è quella degli atei devoti, che assumono il cattolicesimo e i cardini delle religioni universali quali il cattolicesimo e il protestantesimo solo in funzione politica strumentale.
Dunque una vita pubblica in cui questi comportamenti non sono sanzionati secondo chiare regole, e in cui nessuna parte politica combatte perché lo siano, conduce a una società senza diritto, cioè basata sulla pura forza (quali che siano le forme che la rivestono). Mi piace chiudere con un richiamo alla situazione italiana. La voglia matta di ordine e di disciplina, di omologazione e di espulsione dei diversi, fa sì che il dissidente venga considerato alla stessa maniera dello straniero, del clandestino, dello zingaro, del fastidioso postulante. È proprio questa disumanizzazione della vita e della politica a inquietare di più.
È drammatica l'idea divenuta prassi, che investe l'elemento della cronaca, che lo straniero non sia davvero uomo ma una creatura minore, imbestialita, abbrutita e che è legittimo scacciare e schiacciare. In questo sfondo appare la fine della dialettica politica come confronto paritario e si instaura una concezione autoritaria della democrazia come egemonia assoluta, monopolistica, della componente maggioritaria. E questa disumanizzazione della vita e della politica non può non inquietare la nostra condizioni di studiosi, e prima ancora di cittadini.
Mi piace chiudere con un ben venuto ad ognuno di voi, ma permettete che saluti in modo particolare gli amici di Lampedusa che ci evocano direttamente un luogo simbolo e testimone delle tragedie epocali che si consumano nel continente africano e poi nel mediterraneo. È storia e cronaca di ogni giorno, voi lo sapete. È di questi giorni una polemica in seguito ai termini critici che "la Chiesa cattolica ha usato parole gravi dei responsabili delle morti tra i migranti per mancanza di solidarietà umana". Si capisce che gli immigrati per molti sono vite impunemente spendibili, senza valore.
Sorprende la sordità e la cortezza di visione dalla politica italiana. Quali le tendenze future?" Non è il laicismo che sta corrodendo le basi morali della nostra società. È piuttosto l'uso strumentale della religione per scatenare campagne amico-nemico, noi-loro, buoni-cattivi, salvo poi rivendicare ogni possibile eccezione quando serve, nei comportamenti privati come nelle politiche pubbliche. Verrebbe di gridare l'invocazione della liturgia ebraica per il l'avvento del Messia.