Martedì, 10 Novembre 2009 18:27

Scampia vent’anni dopo la visita di Giovanni Paolo II

Scritto da  Gerardo

In occasione della dedicazione sabato 14 novembre della Piazza dei grandi eventi a Giovanni Paolo II e della commemorazione della sua indimenticabile visita al quartiere il 10 novembre 1990 con il grido ancora risonante <>, è il momento di aggiornare l’immagine di Scampia, che dopo decenni a nostro avviso si può definire un caso di “ordinaria emarginazione urbana” in seguito ad alcuni ritocchi e miglioramenti che non necessariamente configurano un incivilimento.



Procedendo per gironi, si può individuare un primo girone intorno al grande Parco urbano dove si addensano le istituzioni pubbliche e servizi essenziali, (dalla 8a municipalità che torreggia sul parco, al presidio di pubblica sicurezza, al centro per l’impiego, all’Auditoriun sede da qualche anno di importanti iniziative culturali (Arrevuoto, Punta Corsara) che hanno coinvolto associazioni e giovani delle scuole anche rom, alla sede dell’INPS). Senza trascurare un triangolo virtuoso laterale che comprende la cooperativa sociale di lavoro artigianale <>, la palestra sportiva Maddaloni, ed il Centro di formazione per il lavoro e la cultura Alberto Hurtado diretto da Padre Fabrizio Valletti. Fanno corona ai due lati del grande emiciclo scuole di vario tipo con interessanti sperimentazioni, ed all’altra capo del parco torreggia la sede dell’ASL Napoli 1 Distretto 48, dove si rivolgono quotidianamente per cure madri con i bambini ed anziani anche del vicino campo nomadi, e ad un lato si individua la sede del sindacato CGIL e della Comunità di S. Egidio.

Un secondo girone, come un serpente velenoso, coperto ma non tanto, che si aggira negli androni dei palazzi e delle Vele abbandonate, è rappresentato dal traffico della droga gestito da gruppi della criminalità organizzata i cui vertici sono stati ripetutamente decapitati da recenti interventi delle forze dell’ordine, puntualmente ripreso da altri mani. Dà profitti per alcuni e “stipendi” per altri occupati in varie mansioni, come le vedette nel Lotto P che quotidianamente scorgiamo all’altro lato della strada, da cui escono ogni mattina anche i bambini con i loro grembiulini azzurri e gruppi di giovani disoccupati come zombi devastati dalla droga a buon mercato. E la famiglia dominante riafferma il suo potere sul territorio anche con il sacro, come il Cristo degli spacciatori che ancora presidia l’area con le braccia aperte.

Un terzo girone è rappresentato da quella “discarica di rifiuti umani” del campo nomadi abitato da famiglie fuggite dalle guerre balcaniche degli anni ‘80, che sussiste da più di un lustro nell’indifferenza di istituzioni e popolazioni ma anche di non ostilità apparente, da cui escono ogni mattina le madri con i loro piccoli per cercare opportunità di sopravvivenza. E nel periodo scolastico i bambini accompagnati a scuola dai genitori con rumorosi veicoli. Si tratta di una "reduplicatio" di emarginazione di un quartiere, più propriamente di esclusione sociale per famiglie senza documenti ed occupazione che hanno sopravvissuto in un enclave isolato ma protettivo che non muta uno status di ghettizzazione. Dopo il censimento del giugno 2008, dal Commissariato di governo con il Comune di Napoli sono previsti progetti di bonifica dell’area e di sistemazione abitativa con la realizzazione di un “villaggio di accoglienza”.

All’interno di questi gironi si svolge diversamente per risorse, opportunità e disagi collettivi la riproduzione biologica, sociale e culturale delle famiglie, secondo canali familistici, amicali e gruppali, ed un accesso prevalentemente assistenziale alle istituzioni pubbliche. Lontani, assenti ed invisibili risultano invece i rappresentanti dell’Amministrazione comunale napoletana che da anni non mettono piede nel quartiere. In questo panorama della vita sociale, bisogna menzionare la presenza consistente di associazioni sportive, sociali e culturali e religiose, anche se non fanno rete, che insieme alla istituzioni scolastiche sono gli unici promotori del tentativo di integrazione culturale soprattutto delle giovani generazioni.

Alcuni interrogativi si affacciano: esiste un elite capace di guidare o orientare un’azione collettiva di riscatto e crescita? O esistono tante nicchie familiari, sociali e religiose conviventi ma non cooperanti. L’investimento è certo nell’occupazione soprattutto delle giovani generazioni, ma prioritariamente nella formazione per la crescita culturale anche degli adulti per potere sopravvivere in una era di glocalizzazioni. che richiede specializzazioni dei territori. "Last but non least", quale ruolo intendono svolgere le comunità cristiane del territorio per continuare ad inverare il messaggio di Giovanni Paolo II per sostenere la speranza difficile ma non impossibile di vita, e promuovere la solidarietà e la concordia anche religiosa.


Domenico Pizzuti
Napoli, 8 novembre 2009

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