Venerdì, 17 Settembre 2010 18:31

Il Papa in Inghilterra tra le proteste

Scritto da  Gerardo

Presentiamo l'articolo di Giancarlo Zizola, apparso in “la Repubblica” del 16 settembre 2010.
Buona lettura!





Le ceneri di John Henry Newman interpellano Benedetto XVI che va a iscriverlo nel firmamento dei beati della Chiesa romana a Birmingham, clou del suo week end nel Regno Unito. Visita pastorale, insiste il papa, visita di Stato, la prima in Inghilterra dallo scisma del 1533, esulta la Santa Sede coi suoi cantori. Non lo era stata nemmeno quella di Wojtyla nel 1982. Ad accogliere Ratzinger all´aeroporto sarà il principe Filippo, con il ceto politico al completo. Non si potrà che parlare della liquidazione del trauma storico di Enrico VIII quando il papa sarà ricevuto nel palazzo reale di Edimburgo da Elisabetta II, la regina che è anche l´unico capo temporale della Chiesa d ´Inghilterra.

Ma il manto della sovranità temporale sulle spalle del papa non rischia di mettere in ombra la sua primogenitura spirituale? E proprio sul suolo inglese bagnato dal sangue di Tommaso Moro? La prima questione che rimbalza dalle ceneri di Newman, "nuovo uomo" di nome e di fatto, tocca proprio l´ambiguità politica-religiosa irrisolta della figura papale. Di fronte agli ultimi papi-re che si accanivano nell´Ottocento a fare quadrato intorno agli Stati pontifici, questo gigante della libertà cristiana, vissuto dal 1801 al 1890, nutriva il timore che l´integrità e l´indipendenza della Chiesa fossero indebolite dall´interferenza dello Stato, le nomine dei vescovi controllate dallo Stato, la libertà di annunziare il Vangelo intimidita dall´omologazione ideologica della Chiesa ai poteri forti. Era perché vedeva la Chiesa anglicana a corto di ispirazione, troppo subalterna all´establishment inglese. La sua conversione al cattolicesimo nel 1845 era figlia di questa spinta riformatrice. Decisiva una sua lettera a un prete cattolico amico poco prima della conversione: «Lei non sarebbe riuscito a destare il nostro interesse per la Chiesa cattolica prima che la vedessimo non già nelle sue attività politiche, ma nelle sue autentiche funzioni di predicare, insegnare, guidare».

Fortunatamente non sembra che la provocazione abbia scatenato nei cattolici inglesi i postumi dell ´antico complesso minoritario. Più insidiosa la campagna di dubbi versata sul fronte dell ´ecumenismo, già appesantito dal passaggio di intere diocesi anglicane alla Chiesa di Roma: la beatificazione di un convertito eccellente come Newman punterebbe a potenziare l´ondata filoromana degli anglicani tradizionalisti, sfruttando a fini proselitistici la loro insoddisfazione per la piega troppo liberale della loro Chiesa sull´ordinazione delle donne a pastore e vescovesse. Un sospetto respinto come oltraggioso dal primate anglicano Rowan Williams che accoglierà il Papa a Lambeth Palace prima di una celebrazione ecumenica nella Westminster Abbey.

Non manca di paradossalità il fatto che sia Ratzinger a dichiarare beato Newman, un´icona del cattolicesimo liberale inglese del XIX secolo, la cui influenza sulle élites cattoliche è comparabile a quella esercitata in Italia dall´abate coevo Antonio Rosmini, anch´egli beatificato da Benedetto XVI. Newman era un amore giovanile del teologo Ratzinger, ne ha orientato la struttura intellettuale, è stato una costante ispirazione per lui. Ma l´opinione che ne aveva la curia romana del tempo era manifestata da un monsignore: «È l´uomo più pericoloso d´Inghilterra, troppo sospetto per ciò che scrive, troppo indipendente, troppo inglese». Possiamo almeno immaginare che Ratzinger avrebbe nutrito pensieri diversi se fosse vissuto allora? «Amo stare nella barca di Pietro, - si limitò a rispondere la pecora nera - però lontano dai motori». La sua vita era una costellazione di dimissioni, la più veloce fu quella da direttore del giornale cattolico The Rambler dove aveva osato criticare il clericalismo e sostenere l´idea che anche i laici avevano diritto ad essere consultati nella Chiesa. Insopportabile per allora, ma forse anche per oggi.

Tuttavia la questione seria non riguarda il posto che Newman finalmente si vede riconosciuto, anche se tardi, nella storia del cristianesimo e nemmeno l´incapacità dei dirigenti romani di percepire, nella convulsioni del tempo, altra cosa che il loro aspetto distruttivo. Le ceneri di Newman interpellano in realtà la Chiesa di oggi per capire se ai vertici sia visibile una disponibilità reale a trasformare l´aureola sul "nuovo Uomo" in uno sforzo per una "nuova Chiesa" dopo l´inverno artico della seconda Controriforma. Un suo ammiratore, Jean Guitton, mi diceva che bisognava arrivare a Giovanni XXIII per trovare un papa che riuscisse a prendere sul serio l´idea di una Chiesa capace di "parlare da cuore a cuore".

"Parlarsi da cuore a cuore" era la divisa di Newman. L´aveva presa da Sant´Agostino, uno dei suoi modelli. Divenne il suo motto quando nel 1879 il neoeletto Leone XIII lo creò cardinale, suscitando un vespaio a corte. "Cor ad cor loquitur": significava distaccarsi da quanti cercavano ad ogni costo una dimostrazione razionale per giustificare l´atto di fede. Egli voleva sempre parlare al cuore delle persone. Prevedendo l´avvento di un mondo semplicemente e puramente non religioso, di cui il cristianesimo non aveva mai fatto esperienza, poneva l´accento sull´urgenza di un cambiamento del linguaggio della Chiesa. «Il non credente non sarà convinto a credere - diceva - da prove precise e formali. L´esistenza di Dio non può essere dimostrata». Per la stessa ragione Simone Weil invocherà a metà del Novecento che la Chiesa elaborasse una dottrina presentabile dei miracoli. Newman suggeriva che il percorso migliore è di fare attenzione «nei nostri cuori a quello che spinge alla religione e che condanna e punisce il peccato». Parlava così in un tempo in cui papi eruditi, imbottiti di teologia formale, pronti a proclamare a voce alta e ferma la verità ideale e a difendere a spada tratta (benché ormai spuntata) i diritti della Chiesa conculcati della Rivoluzione, consideravano ogni atto di fiducia nella storia una concessione allo spirito diabolico del liberalismo predatorio.

Non c´è dubbio che la Chiesa di Newman è aperta al cambiamento, perché - diceva - «vivere è mutare, per essere vivi bisogna essere mutati spesso». Egli «sostenne il dogma quando fu minacciato, ma cercò di salvaguardare la libertà di pensiero teologico quando non lo era» nota un suo biografo, Roderick Strange, rettore del Pontificio Collegio Beda (J. H. Newman, una biografia spirituale, Lindau 2010).

L´altra lezione attuale, anzi scottante delle ceneri di Newman è il posto centrale che attribuiva alla coscienza. Aveva 31 anni quando Gregorio XVI, nell´enciclica Mirari vos del 1832, inveiva contro «questa massima falsa e assurda o piuttosto questo delirio che si debba procurare e garantire a ciascuno la libertà di coscienza». Per il neo-beato la coscienza non esclude, anzi suppone il riferimento ad una legge superiore, che tuttavia non diventa norma concreta dell´agire se non per il tramite della coscienza stessa. Ne deriva che «non può essere mai lecito agire contro la coscienza» e che «qualunque cosa si faccia contro la coscienza edifica per l´inferno». Così rispose Newman a Lord Gladstone, ex presidente del Consiglio inglese, che riteneva che il dogma dell´infallibilità papale proclamato dal Concilio Vaticano I avesse reso impossibile l´essere insieme un patriota inglese e un fedele cattolico. È rimasto celebre il suo manifesto controcorrente, a proposito del "sommo sacerdozio" della coscienza: «Se io fossi costretto a portare la religione in un toast dopo pranzo (...) io brinderei al papa, se vi piace, sì, ma prima alla mia coscienza, poi al papa». Proprio sul punto della centralità della coscienza Ratzinger si è misurato con l´insegnamento di Newman, in una conferenza a Roma nel 1990, centenario della sua morte. La dottrina di Newman sul ruolo della coscienza era reinterpretata come "un modo di obbedire alla verità oggettiva". Altrimenti la coscienza si troverebbe allo sbando, preda dei poteri totalitari. Il futuro papa citò Hermann Goering, il quale aveva detto: «Non ho coscienza. La mia coscienza è Adolf Hitler». Delicata partita quella che si gioca tra Roma e Canterbury sulle ceneri di Newman, poco lontano dalla tomba del martire della coscienza, Tommaso Moro.
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