Dalla
la ventottesima edizione del Torino Film Festival, presentiamo la retrospettiva dedicata a John Houston.
Continua la grande tradizione di retrospettive al TFF di Torino. Ricordiamo quelle dello scorso anno dedicate a Nick Ray e Nagisa Oshima. Ricordiamo quella portentosa a Claude Chabrol. E ancora tre anni fa a a John Cassevetes e Wim Wenders. Diciamo che a Torino sta molto a cuore la memoria e la storia del cinema. E’ inoltre capitato spesso che alcune retrospettive siano state dedicate in passato a intere cinematografie: ad esempio quella africana, quella ungherese, etc.
A TFF 28 la retrospettiva più importante è indiscutibilmente quella dedicata a John Huston (1906-1987).
John Huston è figura centrale della cinematografia mondiale del ‘900. Al pari di Howard Hawks, Orson Welles (di cui era grande amico e verso il quale J.H. nutriva vera e propria venerazione), Jean Renoir, Yasujiro Ozu, Stanley Kubrik, Federico Fellini, Ingmar Bergman. Solo questi giganti possono stargli alla pari.
Figlio di un attore di teatro (ma anche di cinema: il padre Walter reciterà di volta in volta sotto la direzione del figlio e con Il tesoro della Sierra Madre vincerà l’Oscar come attore non protagonista), John Huston seguirà un percorso intellettuale politropico. Inizia a interessarsi alla pittura con frequenze artistiche di grande livello (la pittura resterà sempre presente nella attività del nostro sia come pratica non hobbistica sia come formidabile background nell’attività filmica). Sarà quindi attratto dal pugilato con risultati lusinghieri (ricordi del ring saranno via via presenti nella sua opera, basti qui ricordare Fat City).
Anche come scrittore gli esordi sono di tutto rispetto. Riviste importanti e di prestigio pubblicheranno suoi racconti. Suo padre infine lo avvicinerà inesorabilmente al palcoscenico. E non poteva essere altrimenti. La quarta fase fu quindi la recitazione, il teatro. Dal teatro al cinema il passo fu breve. Ma anche nel mondo del cinema l’avvicinamento alla regia fu graduale: vi entrò come rielaboratore di soggetti (“trattamenti”) e sceneggiatore. E non di film da poco. Basti ricordare High Sierra (Una pallottola per Roy) di Raul Walsh. Ma proprio questa sceneggiatura fu l’annuncio del suo debutto alla regia. Siamo nel 1941. L’anno di The Maltese Falcon! Qui inizia l’avventura di John Huston regista. Ed è ben detto “avventura”.
L’approccio al cinema del nostro non è sistematica, ma avventurosa. Uno spirito di avventura pieno di curiosità e amore per le cose trattate. Inizia quindi una cavalcata fra i generi e i continenti (qui con una particolare predilezione per il Messico e l’Irlanda). Il noir, le spy stories, i biopic (ma si può comprendere in questa angusta etichetta un film come Freud?), il western, i film di guerra (ma anche un film come L’anima e la carne, dove pure ci sono cruentissime immagini di guerra, va ben al di là e non ha nulla a che fare con un film di genere, ma molto con la filosofia e l’intensità umana e psicologica caratteristica di J.H.), film tratti da romanzi (il Moby Dick del 1956: una lezione su come deve essere tradotto in puro cinema un capolavoro della letteratura universale).
Per non parlare dei film tratti dal teatro: il suo primo amore (anche qui un titolo per tutti La notte dell’iguana di Tennessee Williams). Tutto il cinema di J.H. mostra una grandissima capacità di apertura alla vita, agli eventi, agli altri. Una ricerca sofferta e al tempo stesso meditata di un altrove. Sicuramente il nostro ha fatto film che lui ha chiamato “alimentari”, sicuramente tanti suoi film sono stati stravolti dai final cuts dei produttori (anche qui un film fra tutti, Gli inesorabili del 1960: una opera la cui bellezza si intravede nonostante le vistose intromissioni di mani profane). Il suo cinema resta un corpus fondamentale della cultura del ‘900.
C’è una immagine che ricorre spesso nei film di John Huston ed è quella del volo degli uccelli migratori. Ricordiamo solo Gli inesorabili (ben due volte , se non andiamo errati) e Di pari passo con l’amore e la morte. E’ la metafora della vita e dell’opera del nostro. C’è la natura e ci sono gli animali (non va taciuto, quando si parla di John Huston, il suo viscerale amore per i cavalli: il pianto finale di Marilyn ne Gli spostati, così commovente e disorientante, è tutto suo), ci sono gli spazi immensi, c’è (ancora) un altrove da cui si fugge o verso cui si va incontro...
Occorre essere grati a TFF 28 se ci offre l’opportunità di fare i conti con questo gigante.
San Gimignano, 26 novembre 2010
Giuseppe Picone