Mercoledì, 13 Aprile 2011 16:54

Rivolte arabe speranze cristiane

Scritto da  Gerardo

Come si muovono e si comportano le minoranze cristiane nelle rivolte in Nord Africa e nel Medio Oriente? Hanno un ruolo attivo o vivono in standby, in attesa di soluzioni più favorevoli alla loro presenza?
Con queste parole inizia l'articolo di Franco Garelli, apparso su "il Messaggero" del 10 aprile, dal titolo Rivolte arabe speranze cristiane.
Che presentiamo nel seguito.



Rivolte arabe speranze cristiane
di Franco Garelli
in “il Messaggero” del 10 aprile 2011

Come si muovono e si comportano le minoranze cristiane nelle rivolte in atto in Nord Africa e nel Medio Oriente? Hanno un ruolo attivo o vivono in stand by, in attesa di soluzioni più favorevoli alla loro presenza?

Molte fonti concordano nell’indicare che il fattore religione non ha avuto un peso particolare nelle rivoluzioni che stanno cambiando la sponda Sud del Mediterraneo, innescate assai più da tensioni e squilibri avvertiti trasversalmente da molti gruppi sociali che da questioni ideologiche o da conflitti identitari. Nelle proteste e nelle mobilitazioni di piazza (soprattutto nella situazione egiziana e in quella tunisina) la parola e l’iniziativa sono state prese da una classe di giovani distante dall’intreccio tra religione e politica, che più non sopportava l’insensatezza di regimi politici che impedivano loro un minimo di futuro e di emancipazione.

Dunque, rivolte giovani, mobilitazione generazionale, ma anche rivoluzione laica e non religiosa, in quanto le bandiere islamiche erano perlopiù assenti, mentre sventolavano quelle nazionali. Il collante della mobilitazione è stato ed è il nazionalismo, l’affermazione di un sentimento e di un’identità che superano le differenze sociali, confessionali e geografiche. Certamente non sono mancati gruppi islamici che hanno cercato di cavalcare la protesta, ma – perlomeno sino ad ora – con scarsi risultati, visto il debole consenso di cui godono nel movimento.

Questo clima di identificazione collettiva e nazionalista ha indubbiamente contagiato le minoranze cristiane (come, ad esempio, i copti in Egitto), che si sono fatte anch’esse parte attiva per raggiungere il comune obiettivo, mescolandosi ai musulmani nei sit-in, nelle proteste di piazza, nella domanda di libertà e di democrazia. La situazione eccezionale ha dunque avuto un risvolto ecumenico, ha messo fianco a fianco credenti di fedi diverse che si guardano in genere con sospetto, ha annullato almeno per un momento le diffidenze e i conflitti. Nessuno è andato in piazza con l’etichetta religiosa sulla fronte.

Questa esperienza di fusione collettiva, di stato nascente, di partecipazione alla nascita di un nuovo ordine sociale, può essere l’anticamera – per quei Paesi di forte (e inclusiva) tradizione islamica – di un clima più aperto alla presenza di altre fedi religiose, in particolare di quella cristiana? Qual è il sentimento che al riguardo prevale tra le minoranze cristiane che vivono in quei contesti e che sono state oggetto – sia nel passato che di recente – di molte discriminazioni a causa della fede che professano? I cristiani hanno certamente partecipato con convinzione alle rivolte contro i regimi autoritari, mossi a ciò più da ragioni di ‘cittadinanza’ (da istanze di sopravvivenza, libertà, giustizia sociale) che da motivazioni legate alla loro specifica fede religiosa. In questa linea, essi sperano ed auspicano che le rivoluzioni in atto abbiano esiti positivi, e che il clima più democratico possa introdurre il rispetto di tutti i diritti fondamentali, dal diritto alla vita a quello a un’esistenza dignitosa, dal diritto alla libertà individuale a quello della scelta religiosa, ecc. In altri termini, le minoranze cristiane nei paesi del Nord Africa in rivolta vivono oggi una situazione di attesa, valutando se la spallata data ai regimi autoritari avrà un esito positivo, rappresentato dal miglioramento delle condizioni di vita della popolazione, dall’avvio di un percorso democratico, e da un clima culturale e religioso più rispettoso del pluralismo.

Le rivolte infatti intervengono su una storia; la possono modificare in modo profondo, ma non la cancellano. Pur partecipando alla rivoluzione in atto nei loro paesi, le minoranze cristiane non possono dimenticare le discriminazioni che subiscono per la fede diversa che professano, e gli attentati e le gravi stragi di cristiani che da tempo ricorrono in quei contesti. Si tratta di un clima avverso (fatto di stigma, di ostilità, di ‘caccia al cristiano’) che indubbiamente si fonda su alcuni pregiudizi culturali che forse solo un processo di modernizzazione può rimuovere; ma che al contempo confina le minoranze religiose ai margini della società, non permettendo loro di contribuire a costruire quella società civile integrata (composta da associazioni, da fiducia, da dinamismo dal basso) che rappresenta un fattore indispensabile perché le rivolte vadano a buon fine.

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