Martedì, 19 Aprile 2011 02:44

Netta la posizione del card. Tettamanzi

Scritto da  Gerardo

«Perché ci sono ingiusti che non vogliono farsi giudicare?». È la domanda risuonata ieri, Domenica delle Palme, all’interno del Duomo di Milano. È l’arcivescovo della città, il cardinale Dionigi Tettamanzi che non si fa scrupolo di chiamare le cose con il loro nome.
Riportiamo nel seguito l'articolo di Roberto Monteforte, uscito ne "l'Unità" del 18 aprile, sotto il titolo Solo gli ingiusti non vogliono essere giudicati.



Solo gli ingiusti non vogliono essere giudicati
di Roberto Monteforte
in “l'Unità” del 18 aprile 2011

«Perché ci sono ingiusti che non vogliono farsi giudicare?». È la domanda risuonata ieri, Domenica delle Palme, all’interno del Duomo di Milano. È l’arcivescovo della città, il cardinale Dionigi Tettamanzi che non si fa scrupolo di chiamare le cose con il loro nome. Chiede il coraggio della verità nei giorni che precedono e preparano alla Pasqua. Che le cose siano chiamate con il loro vero nome. Che non si sfuggano le responsabilità. Che non si cerchi «in modo subdolo, superbo e violento» di manipolare la verità.

Non fa nomi e neanche allusioni indirette, ma non serve. Le sue parole sono parse un richiamo a chi, come il premier Silvio Berlusconi, si ritiene al di sopra di ogni legge e di ogni codice morale e fa di tutto proprio per sfuggire al giudizio dei magistrati. Il porporato, che a breve lascerà la guida della diocesi più grande d’Europa, con mitezza ma determinazione mette a nudo egoismi e ipocrisia. Partendo dal Vangelo di Giovanni che presenta Gesù come re «umile e mite, e insieme come il re che dona tutto se stesso per amore e che, proprio così, annuncia la pace» invita tutti a chiedersi come quel messaggio vada situato «nella nostra situazione storica». Indica tre drammatiche emergenze: giustizia, guerra e immigrazione. Ma le sue parole hanno di certo incontrato la sensibilità dei tanti milanesi che turbati dalla perdurante guerra aperta del premier ai magistrati, non hanno scordato i giudici che proprio a Milano hanno pagato con la vita la loro coerenza e integrità morale al servizio della giustizia. Sono domande semplici e dirette quelle poste da Tettamanzi. «Perché ci sono uomini che fanno la guerra, ma non vogliono si definiscano come “guerra” le loro decisioni, le scelte e le azioni violente? Perché molti agiscono con ingiustizia, ma non vogliono che la giustizia giudichi le loro azioni? E ancora: perché tanti vivono arricchendosi sulle spalle dei paesi poveri, ma poi si rifiutano di accogliere coloro che fuggono dalla miseria e vengono da noi chiedendo di condividere un benessere costruito proprio sulla loro povertà?». È con questa realtà, che rende «paradossali» i giorni che viviamo, che invita a fare i conti. Sollecita un coraggioso esame di coscienza su cosa «nel vissuto quotidiano» ispira «i nostri pensieri, i sentimenti, i gesti»: una domanda «di dominio superbo, subdolo, violento», oppure è «l’attenzione, disponibilità e servizio agli altri e al loro bene? ». Occorre avere coraggio per ammetterlo e cambiare. «La vera potenza sta nell'umiltà, nel dono di sè, nello spirito di servizio» osserva.

Chissà se il premier Berlusconi, impegnatissimo a riproporre i valori cristiani nelle scuole pubbliche, è pronto ad ascoltare le parole del suo vescovo. O il «crociato» Bossi.

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