Domenica, 23 Ottobre 2011 23:22

Su cattolici e politica, dopo Todi, dopo quanto scrive Pizzuti

Scritto da  Gerardo

Stavo pensando di intervenire sulla discussione che si è allargata su Cattolici e politica, dopo Todi.
Poi leggo su Asfer.it l’intervento dell’illustre amico Domenico Pizzuti che condivido.
Mi riservo allora di fare solo poche brevi annotazioni. (AN)



Innanzitutto vorrei che nel parlare di cattolici e politica in Italia i giovani e i meno giovani membri dell’associazionismo cattolico avessero a sufficiente consapevolezza dello stato non dico della fede, ma dell’appartenenza cattolica oggi in Italia.
Non sto qui a ricordare il pur generoso documento, per esempio, di Cartocci sulla secolarizzazione in Italia. Ma che significa stabilire una norma sullo stare dei cattolici in quanto tale in politica? Come essere cattolici in politica senza integralismi e cercando di restare ispirati alla propria fede? Come definire una linea senza cadere nella ambiguità del denunciato integralismo islamico, ma anche, come si vede dell’intolleranza nell’India, indù? Mi è venuto di pensare alla discussione propria, negli anni Trenta, sulle pagine della rivista fiorentina di Bargellini “Il frontespizio”, su “scrittori cattolici e cattolici che scrivono”. Mi pare che, senza indulgere ad un ipotesi di dar vita ad un nuovo partito destinato a rappresentare un piccola percentuale di elettorato (e non so se mosso prevalentemente da fede o da altri motivi), che senso ha rintracciare una specificità di opzione politica dei cattolici facendo leva su una minoranza di cattolici a titolo diverso organizzati?
Non ha insegnato nulla l’esperienza negativa degli anni dell’Azione Cattolica di Gedda che, pur essendo una consistente minoranza tendeva a sovrapporsi alla comunità della parrocchia, tendendo a sovrapporre i programmi di una parte di cattolici alla generalità dei battezzati. In forza di un solo battesimo si tendeva a imporre un’esclusiva opzione politica, sportiva, sindacale ecc.
Denunciando le ambiguità affiorate a Todi Enzo Bianchi su Repubblica (22 ottobre 2011, p. 25) osserva che si potrebbe auspicare “un forum che nelle varie chiese locali raggruppi tutti i cattolici per favorire la conoscenza e il confronto su temi che richiedono una traduzione politica” ma occorre ribadire “nessun integralismo,nessuna pressione lobbistica, nessuna imposizione. Molto opportunamente è stato ricordato quanti scrive Paul Valadier: lo statuto del cristianesimo è quello di essere una “religione anormale”, perché per ogni cristiano il rispetto assoluto della vita umana,il rifiuto della guerra, la salvaguardia della pace, la giustizia e l’uguaglianza sociale, il perdono del nemico e la riconciliazione nei conflitti sono tutti valori irrinunciabili.”
Non c’è ondata del vento elettorale o dei mass media che possono meticciarli. Non appare molto evangelico questo darsi daffare subordinato alle trattative tipiche delle campagne elettorali per la formazione di liste e fissare candidature elettorali. Né sono sufficienti leggi favorevoli alle scuole cattoliche per potersi attribuire titoli di merito. In un momento di grave crisi economica sarebbe un segno di coerenza evangelica non utilizzare la religione per sottrarsi alle leggi comune di ogni cittadino e istituzione civile.
Mi pare che in una stagione di sempre più accentuato pluralismo, le chiese locali e la coscienza dei cristiani in genere dovrebbero prende coscienza della loro prioritaria responsabilità di produrre testimonianza profetica nella società.

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