Domenica, 11 Dicembre 2011 20:44

La quiete, le parole e la spiritualità

Scritto da  Gerardo

Presentiamo un articolo di Enzo Bianchi, priore del monastero di Bose, comparso in “la Repubblica” del 10 dicembre.
La riflessione si porta sulla parola, e sul suo degenerare nella società contemporanea. E sul silenzio, che consente ristoro e restauro a una primalità aurorale che l'inquinamento della modernità desacralizza fin quasi all'infamia.



Perché nella quiete possiamo imparare il valore delle parole
di Enzo Bianchi

Ai nostri giorni siamo invasi dalle parole, dal rumore, dalle chiacchiere, al punto che l’inquinamento sonoro può ormai essere annoverato tra i problemi ecologici. Nella società cacofonica in cui viviamo, inoltre, la parola è diventata quasi uno strumento obbligatorio per l’affermazione e la celebrazione di se stessi. Si comprende dunque perché molti avvertano il bisogno del silenzio, vorrebbero cioè imparare a tacere per riscoprire la bellezza del silenzio e, insieme, la bellezza di forme di comunicazione non verbali. Tacere equivale a digiunare verbalmente e il silenzio è paragonabile al digiuno fisico, entrambi salutari quando lo esigono il corpo e la psiche.

Il silenzio non consiste semplicemente nell’assenza di rumore e di parola, ma è una realtà plurale. C’è un silenzio necessario in certi luoghi, e come tale imposto, c’è un silenzio inscritto con segni all’interno della scrittura stessa, c’è silenzio tra le note musicali… Accanto a questi silenzi funzionali, ve ne sono altri negativi o addirittura mortiferi: silenzi che “pesano”, che rendono inquieti e spaventati, silenzi opprimenti, abissi di silenzio! Di più, esistono silenzi complici e pieni di viltà, silenzi che dovrebbero essere spezzati dalla forza di un profeta, silenzi di ostilità che paralizzano la comunicazione, silenzi amari di solitudine sofferta…

Vi sono però anche silenzi positivi, irrinunciabili. In primo luogo il silenzio rispettoso della parola dell’altro, ma anche il silenzio scelto nella consapevolezza che “c’è un tempo per tacere e un tempo per parlare”. Un silenzio particolare è quello dell’amicizia e dell’amore, un silenzio di presenza e di pienezza, in cui il semplice stare insieme è fonte di gioia. Vi è infine il silenzio interiore, nel cuore di ciascuno di noi, per accogliere la presenza degli altri e dell’altro, Dio.

Ma perché fare silenzio, perché imparare il silenzio in modo progressivo e ragionevole? Innanzitutto nel silenzio possono emergere energie che si traducono in un’attività intellettuale più feconda: nel silenzio diventiamo più ricettivi, sappiamo meglio ascoltare, vedere, odorare, toccare, anche gustare. Lunghe ore di silenzio ci rendono diversi, ci aiutano a guardare dentro di noi, a dimorare con noi stessi e, soprattutto, ad ascoltare ciò che ci abita in profondità. E così impariamo poco a poco quali sono le ragioni per cui parliamo. Scopriamo cioè che le nostre parole sono sovente strumento di conquista e di seduzione, mezzi per permettere al nostro “io” di acquistare potere, successo, dominio sugli altri: parole aggressive e interessate, piegate a scopi inconfessati e inconfessabili, strumenti di manipolazione… Insomma, grazie al silenzio impariamo a parlare. Attraverso la pratica consapevole del silenzio possiamo vigilare affinché le nostre parole siano sempre fonte di dialogo e di conoscenza, di consolazione e di pace.

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