Lunedì, 25 Giugno 2012 18:09

Colpo di stato reazionario in Paraguay. Immagini, reazioni e altri particolari

Scritto da  Gerardo

Il blog Teatri della Resistenza, descrive il precipitare della situazione politica paraguayense, la destituzione del presidente Fernando Lugo, vescovo e teologo della liberazione eletto nel 2008, e secondo presidente di sinistra del paese (dopo Rafael Franco nel biennio 1936 – 1937).
Nel seguito, ancora un intervento, con altri elementi sulla situazione in Paraguay.



Ancora sul golpe in Paraguay


Da venerdì 22 giugno Fernando Lugo non è più il presidente del Paraguay. Camera e Senato hanno votato con maggioranza schiacciante (rispettivamente 76-1 e 39-4) a favore della sua estromissione dall'incarico per “cattivo esercizio delle proprie funzioni”. Non si tratta di un golpe: l'impeachment, una sorta di sfiducia. è previsto dall'articolo 225 della Costituzione paraguayana e l'ormai ex capo di Stato ha accettato le decisioni del Congresso, definendole “legali ma non legittime”. Il nuovo presidente è l'ex vice di Lugo, Federico Franco del Partito liberale. Da Unasur (che discuterà della questione mercoledì), soci del Mercosur e altri paesi del continente sono arrivate critiche più o meno velate all'operato - considerato non pienamente democratico - dell'organo legislativo paraguayano. Il Mercosur ha sospeso la partecipazione del Paraguay al vertice di venerdì prossimo. Argentina e Venezuela hanno richiamato il loro rispettivo ambasciatore ad Asunción o promesso di farlo. Molto più sfumata la posizione di Stati Uniti e Messico, inconcludenti quelle dell'Unione degli Stati americani (Oas).

Lugo è stato messo sotto processo e condannato in meno di 48 ore dal parlamento paraguayano per 5 episodi: due conflitti sulla proprietà terriera (il più recente, che ha funto da casus belli, è capitato una decina di giorni fa, quando uno scontro a fuoco a Curuguaty tra contadini e forze di polizia ha fatto sedici morti), l'uso di una base militare per un incontro politico nel 2009, l'incapacità di ridurre la violenza nel paese e la firma del Protocollo di Ushuaia II, che secondo il parlamento rischiava di compromettere le forniture di energia al paese. Si tratta di pretesti che non riescono a nascondere la scarsa simpatia riscossa da questo ex vescovo presso i numerosi poteri forti del Paraguay: i due partiti maggiori (il colorado, al governo per 61 anni di cui 35 in dittatura, e il liberale), le Forze armate (nel 2009 Lugo aveva dovuto cambiarne i vertici temendo un colpo di Stato ai suoi danni) e i latifondisti (il 2% della popolazione possiede oltre il 75% della terra coltivabile, in un paese in cui oltre il 26% della popolazione lavora nel settore primario). L'ultima categoria comprende anche le multinazionali della soia, di cui il Paraguay è il quarto esportatore al mondo, e gran parte degli 81 mila brasiguayos, i cittadini paraguayani discendenti dei brasiliani che immigrarono in massa nel vicino Stato a partire dagli anni Sessanta del Novecento e che Lugo chiamava “mafia”. Anche la stampa era prevalentemente schierata contro l'ex presidente.

La vittoria di Lugo nel 2008 era stata un evento epocale: per la prima volta il Paraguay, da poco tornato alla democrazia, eleggeva un capo di Stato di centro-sinistra, sorretto da una coalizione piuttosto variegata di partiti ma con un programma di governo decisamente orientato a favore dei più poveri, il cui punto principale era proprio la riforma agraria. Il suo mandato è stato però fortemente limitato, oltre che dai poteri forti e dalle sue precarie condizioni di salute, da una maggioranza parlamentare (di cui faceva parte anche Federico Franco) a lui avversa. Gli attacchi ai latifondisti sferrati dal misterioso Esercito del popolo paraguayano hanno portato alla militarizzazione della questione agraria: per non essere accusato di debolezza, Lugo ha reagito in maniera spropositata, dichiarando lo stato d'emergenza in alcune regioni del paese e dispiegando oltre 3 mila soldati contro una guerriglia di non più di 100 elementi.

In campo internazionale ha raggiunto un obiettivo importante: è riuscito a rinegoziare l'accordo con il Brasile per lo sfruttamento della diga di Itaipù, la più grande centrale idroelettrica del mondo che fornisce molta più energia di quanta Asunción sia in grado di consumare. Secondo il trattato stipulato nel 1973 dai rispettivi governi dittatoriali, il Paraguay doveva fornire il surplus di energia al Brasile alla cifra fissa di 120milioni di dollari all'anno, molto inferiore al prezzo di mercato. Questa cifra è stata triplicata nel 2009 grazie all'intesa tra Lugo e l'allora capo di Stato brasiliano Lula, che ha anche impegnato il suo paese a investire ulteriormente nelle infrastrutture paraguayane.

Il mandato dell'ormai ex presidente sarebbe terminato ad aprile 2013; in base alla Costituzione vigente non avrebbe potuto ricandidarsi, anche se non era stato escluso di promuovere un emendamento che permettesse la rielezione. Colorados e liberali hanno preferito estrometterlo ora, sfruttando gli ampi poteri discrezionali concessi dalla Carta al parlamento, per evitare che fosse lui a gestire il paese e le risorse del governo nei mesi precedenti alle nuove elezioni. Più che essere una minaccia alla democrazia, gli eventi del Paraguay invitano a pensare alla scollatura tra diritto e realtà. La Costituzione del paese sudamericano nei fatti dà al ramo legislativo la possibilità di far cadere il capo di Stato per motivi politici: è stato sostenuto che si tratta di un antidoto allo strapotere presidenziale, di cui Asunción non conserva un buon ricordo, dopo la dittatura di Stroessner. Vero, ma non sorprende che tale prerogativa sia stata usata per la prima volta contro un presidente “scomodo” come Lugo.

In punta di diritto, c'è poco che le organizzazioni latinoamericane o emisferiche possano fare, a parte ricorrere a misure simboliche (il richiamo degli ambasciatori) e indignarsi - come non hanno mancato di fare i soliti sospetti: il presidente venezuelano Hugo Chávez e il suo omologo ecuadoriano Rafael Correa. A differenza di quanto accaduto in Honduras nel 2009, in Paraguay è stata applicata la Costituzione. Che quest'ultima abbia finito per tutelare i poteri forti di Asunción è innegabile, ma difficilmente la situazione potrà cambiare in virtù delle pressioni esterne. Sanzioni commerciali o diplomatiche penalizzano, oltre a chi le subisce - il Paraguay è già in recessione - anche chi le applica. Ad agosto 2013 in ogni caso si rivoterà: la tentazione di chiudere un occhio per un anno potrebbe esserci, a meno di non voler spendere capitale politico in una battaglia che non cambierà le sorti di Lugo ma farà guadagnare credenziali democratiche e anti-imperialiste a chi vorrà farla.

Chávez aspira a rivincere le elezioni presidenziali del Venezuela, sempre che la salute lo assista; essendo in campagna elettorale, è ragionevole che cerchi di sfruttare il caso paraguayano, anche tramite l'Alba. Caracas ha anche annunciato l'interruzione della fornitura di petrolio ad Asunción. Sarà interessante vedere come si muoverà il Brasile. Il gigante lusofono fece da araldo della democrazia in occasione della crisi honduregna, arrivando a scontrarsi con gli Stati Uniti. In questa occasione, il diritto formale suggerirebbe di tenere un profilo più basso e Dilma pare averlo capito. Oltretutto, anche se questo elemento non verrà mai citato, Brasilia può augurarsi che il prossimo presidente del Paraguay sia più simpatetico verso gli interessi brasiliani di quanto non lo sia stato Lugo.

La destituzione del presidente ex vescovo rappresenta una cattiva notizia per i suoi concittadini più poveri e un invito a riflettere sulla distanza tra democrazia formale e sostanziale. Il Paraguay rimane il buco nero dell'America Latina, una centrale del contrabbando (di uomini, droghe, soldi, armi) e un santuario dormiente del terrorismo e dell'estremismo islamico. Il mondo finora si è occupato poco di Asunción per questioni internazionalmente rilevanti; sarebbe sorprendente se iniziasse a farlo per una crisi interna.
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