Riportiamo l'interessante
articolo di Franco Cardini, apparso in “Europa” del 19 luglio 2012.
Buona lettura!
Sante, sorelle, mistiche: se il Paradiso è donna
di Franco Cardini
Che cosa succede, in Italia e nel mondo, a proposito del rapporto tra il nostro tempo e la religione (e/o le religioni)? È ancora in qualche modo valida la teoria proposta alcuni decenni fa da Sabino Acquaviva, che prospettava un’irreversibile «eclissi del Sacro» nella società moderna? A giudicare da quel che si sente oggi in giro – e penso ad esempio alle tesi di Zygmunt Bauman – si direbbe che, all’inizio del terzo millennio, a entrare in crisi sia stata la Modernità prima e piuttosto che non le religioni. Ma come viene vissuto il cristianesimo, rispetto alle Chiese storiche che ufficialmente lo rappresentano? E, in particolare per la Chiesa cattolica, che cosa c’è di vero sugli scismi, magari “sommersi”, di cui hanno parlato in modi e tempi diversi anche Pietro Prini e Riccardo Chiaberge? Il disagio affiorato a proposito dello Ior o della presenza di “corvi” in Vaticano corrisponde a un’emergenza contingente o è la spia di una crisi profonda? E davvero la Chiesa non è riuscita a fare sul serio e del tutto i conti con la Modernità, come sostengono Sergio e Beda Romano? Ma le altre confessioni cristiane, sono messe meglio di quella cattolica? E, se il cristianesimo è in crisi, non lo sono forse anche altre fedi, a cominciare dall’ebraismo e dall’Islam dove anzi il crescere dei movimenti fondamentalisti – che troppi interpretano, con leggerezza, come un sintomo di forza e di espansione – parrebbe proprio un segno di crisi non leggera? Tra i punti critici più delicati, molti indicano al riguardo il tema del rapporto tra Chiese, fedi, istituzioni religiose e sesso femminile. Ciò parrebbe particolarmente complesso per le tre fedi nate dal comune ceppo abramitico, i tre monoteismi di radice biblica che sembrano segnati, fin dalle origini e in modo indelebile, dal pregiudizio della “inferiorità” della donna rispetto all’uomo. Il femminismo e i vari movimenti di emancipazione della donna non hanno esitato a puntare spesso l’indice accusatore contro personaggi, istituzioni e tradizioni cristiani, ebraici o musulmani accusati di “maschilismo”. Ma, in temi di “parità” e di “uguaglianza” (due valori spesso confusi tra loro, ma in realtà molto diversi), se sono state le Chiese riformate occidentali (i “protestantesimi”) a figurare finora all’avanguardia – e basti pensare allo spinoso problema del “sacerdozio femminile” –, molto si sta muovendo anche nella Chiesa latina, in quelle ortodosse e orientali, nonché nelle comunità ebraiche e in quelle musulmane.
Certo: il cammino è lungo, le prospettive che a noi occidentali appaiono necessarie e addirittura sacrosante non sono affatto tali in altre culture e, insomma, non è solo questione di hijab o di chador. Eppure, quel che forse può sfuggire è che nella stessa tradizione cattolica il ruolo delle donne non solo è, ma è sempre stato di un peso e di un’importanza che a prima vista possono sfuggire ma che, a un esame appena un po’ più attento, si rivelano straordinarie. È quanto si rileva nella grossa, bella, importante raccolta di saggi a cura di Lucetta Scaraffia e Gabriella Zarri, Donne e fede. Santità e vita religiosa in Italia (Laterza), che contiene contributi di primissimo valore come quelli di Anne Jacobson Schutte, di Marina Caffiero, di Sara Cabibbo e di altre valenti studiose (con una sola ancorché eccezionale presenza maschile: quella di Adriano Prosperi) che spaziano dal IV al XXI secolo, dall’ascetismo protocristiano ai personaggi religiosi femminili nel cinema. A volte si è talmente convinti un po’ tutti, in modo aprioristico, che il cristianesimo sia “machista”, che non si riesce nemmeno a riflettere sul fatto che, a parte il Cristo, le sue due figure fondamentali siano donne, Eva e Maria; né su quello che vede le donne in primissimo piano – spesso ben al di sopra degli uomini – per quel che riguarda la mistica, l’ascetica e le espressioni carismatiche.
A parte casi come Giovanna d’Arco, tutto il mondo cristiano – da Maria Egiziaca a Teresa di Calcutta – risuona di voci femminili. Molti sono gli studi recenti dedicati ad esempio a Ildegarda di Bingen: principessa, visionaria, scienziata e forse “maga”, che ha affascinato Federico Barbarossa e Carl Gustav Jung. Ma i non-spagnoli non conoscono abbastanza Teresa d’Avila, la straordinaria carmelitana del Cinquecento alla quale Carlos Ros ha dedicato un denso profilo biografico, Teresad’Avila. Coraggio al femminile (Edizioni Paoline).
Certo, a parte la Riforma, le donne erano spesso “recluse”: e sulle monache, da Alessandro Manzoni ad Aldous Huxley, conosciamo storie che spesso disorientano. Eppure, eccezioni e ribellioni a parte, il monastero o il convento potevano offrire delle straordinarie risorse anche senza uscire, né formalmente né sostanzialmente, dalla disciplina e dalla reclusione: è quanto riesce a raccontarci Silvia Evangelisti in una Storia delle monache (il Mulino) che non mancherà di sorprendere. Siamo un po’ troppo abituati a concepire il monastero o il convento come “universi concentrazionari”, gangli di una società repressa e repressiva, ipocrita e convenzionale: la Evangelisti disegna un quadro differente, in cui l’istituto di vita comunitaria diventa fucina di idee, luogo di scambi e di risorse innovatrici. Ma oggi, nei tempi della Modernità baumanianamente parlando “liquida”, tutto viene posto in discussione. Se da una parte sempre più chiari si fanno i segni della stanchezza dinanzi a quell’assolutizzazione dell’individuo che della Modernità stessa sembra essere il carattere più evidente, dall’altra si nota come dai parametri individualistici non si riesca ormai più a uscire: ne La fuga delle quarantenni (Rubbettino) Armando Matteo, già noto come autore de La prima generazione incredula. Il difficile rapporto tra giovani e fede (2010) analizza un fenomeno che parrebbe senza ritorno: sono le donne, da secoli le silenziose testimoni della fedeltà alla Chiesa e del ricambio generazionale dei fedeli (l’Italia paese dove «le donne vanno in Chiesa» e gli uomini no: ma sono le donne che insegnano ai bambini...), che ormai sembrano aver rotto l’antico patto che le legava all’universo mariano, alla famiglia, alle consuetudini. Le donne che oggi hanno tra i 20 e i 40 anni non vanno più in Chiesa, si accostano sempre meno ai sacramenti, si curano sempre meno che i familiari lo facciano.
Di conseguenza matrimoni religiosi, battesimi, cerimonie di cresima e di comunione sono in caduta libera. Il rimedio sarebbe ridefinire completamente il rapporto tra Chiesa, società e donne, rinnovare il senso della comunità, aprirsi ad esperienze nuove. Sarà possibile? E come? Ma, dicevamo, tutto ciò non è vero solo nel mondo cristiano.
Francesca Caferri, giornalista de la Repubblica nel suo Il Paradiso ai piedi delle donne (Mondadori) ci guida in un’inedita e, per molti, inattesa e incredibile scorribanda per il mondo musulmano. Gli stereotipi che ancor oggi ci orientano, fanno sì che ci aspetteremmo un Islam lacerato tra le donne rassegnate e sottomesse, velate e silenziose, e le poche ribelli che osano sfidare il potere maschilista dei loro padri, mariti, fidanzati, zii e fratelli, spesso pagando il loro coraggio con la vita. La Caferri ci obbliga invece a confrontarci con un mondo che non avremmo mai immaginato: un mondo che – dall’Arabia saudita allo Yemen all’Egitto della “primavera araba” al Marocco della nuova costituzione voluta da Muhammad VI – ci mostra come vi siano donne (manager, giornaliste, politiche, scrittrici...) le quali riescono ad appoggiarsi alla Legge del Profeta e perfino alle convenzioni che più sembrerebbero emarginarle per affermare il loro diritto a farsi sentire e a cambiare la società in cui vivono. Ci siamo immaginati le dinamiche della “liberazione della donna” secondo i nostri parametri “eurocentrici”: ci rendiamo adesso conto che esse seguono altre strade, logiche differenti, strategie per noialtri impensate e impensabili. Il Paradiso è all’ombra delle spade, ma anche ai piedi delle donne.