Giovedì, 27 Giugno 2013 23:29

Al di là della cronaca. La distorsione del discorso pubblico

Scritto da  Gerardo

Riflessione di Domenico Pizzuti sulle distorsioni del discorso pubblico. Oltre la cronaca, con qualche spunto interpretativo.
Buona lettura!




Al di là della cronaca. La distorsione del discorso pubblico

Ho letto con interesse ne La Repubblica di venerdì 21 giugno l’intervento del noto teologo laico Vito Mancuso “Un paese dove la virtù deve chiedere perdono”, in riferimento ad episodi di corruzione (anche sessuale) nella città di Firenze ma più diffusamente nel paese ed al disinteresse e noia percepito dall’Autore in suoi discorsi sull’ etica e suoi fondamenti in comportamenti pubblici e privati. A sua discolpa, l’Autore riporta una frase di Shakespeare nell’ Amleto 3, 4: “Perdonatemi questa predica di virtù, perché nella rilassatezza di questi tempi bolsi la virtù deve chiedere perdono al vizio, sì, deve inchinarsi a strisciare”. Posso solo aggiungere dal punto di vista di analisi storico-sociologiche che la trasgressione ed il discredito dell’etica pubblica nel nostro paese è stato attribuito al mancato radicamento di una “religione civile”, come invece è avvenuto in società e democrazie anglosassoni.

Prendo spunto da questo illuminato intervento per proporre alcune riflessioni su osservabili e preoccupanti distorsioni - che configurano autentici capovolgimenti di detti e fatti - nei discorsi, specialmente nell’arena pubblica che finiscono per modellare atteggiamenti e comportamenti di attori politici e non, che subiamo da decenni da tutti gli schermi TV e da tutte le piazze, senza escludere lo stesso Grillo parlante. L’inversione nei pubblici discorsi e proclami è tale per cui la verità diventa menzogna e la menzogna patentemente verità proclamata, gridata e difesa, certo per posizioni di parte in difesa del capo tribù. Negli ultimi anni, in particolare, ho avuto modo di osservare la “conversione” di atteggiamenti specialmente nelle trasmissioni televisive da parte dell’ on. Angelino Alfano con posture populiste, gote gonfiate, asserzioni gridate e senza repliche anche da vice-premier del tranquillo Letta. Fanno male talora assurde difese e argomentazioni ripetute da parte delle “amazzoni” del Cavaliere (Santachè, Gelmini, Carfagna), senza sfumature e originalità alcuna e con toni aggressivi per mostrarsi più realiste del re. Si dirà, fanno parte della batteria o meglio della corte del capo, che le ha “elette” o “eletti” nel senso proprio della parola e le/li ha installate/i a suo tempo sui dodici troni o ministeri del governo italiano che dir si voglia. (Grillo senza alcun ritegno direbbe che prima erano niente, come per la senatrice dissidente, perché eletta dai misteri della rete).

Senza far uso inappropriato di categorie antropologiche, si può ritenere che l’uso costante di queste inversioni nel discorso pubblico modelli comportamenti pubblici e forse anche privati da parte dei corifei del gran Capo. Chi è menzognero in pubblico, cioè sulla scena, è probabile che sarà menzognero anche nella vita privata, fuori scena. E’ altrettanto preoccupante che simili comportamenti vengano tranquillamente ingoiati da milioni di cittadini, senza spirito critico, per convenienze varie e avvolarati in occasione del voto. Nei decenni del dopoguerra abbiamo conosciuto la “doppiezza” di Togliatti, il cinismo di Andreotti, le giustificazioni delle corruzioni partitiche da parte di Craxi, ma in questo caso è l’inversione delle verità elevata a sistema, e gli stessi “processi” della Magistratura diventano persecuzioni politiche, anche se le corti sono costituite da altrettante donne che si può ritenere agiscano in punta diritto.

Tale fenomenologia si inscrive chiaramente nella costituzione e costruzione di un partito personale, nell’appello di stampo populistico, nella proprietà o gestione di mezzi di comunicazione di massa, nella capacità comunicativa del leader, in fondo nel condizionamento di un potere personale non derivante in primo luogo da legittimazione politica, e nella costruzione del consenso. Secondo il sociologo ispano-americano Castells nel suo recente volume “Comunicazione e potere” (2009) . nella società in rete del XXI secolo il potere si fonda sul controllo della comunicazione ed il contropotere sulla capacità di opporsi a questo controllo, influenzando l’opinione pubblica per tendere al cambiamento sociale. Sulla base delle reti digitali di comunicazione, questo Autore ipotizza che “la forma più fondamentale di potere consiste nell’abilità di plasmare la mente umana”. E la comunicazione riveste un posto centrale nella lotta per la plasmazione della mente umana da parte delle agenzie di potere e contropotere per la costruzione del consenso.

Senza volersi riferire al discorso dell’etica habermasiana della comunicazione, che sarebbe troppo per la c.d. anomalia italiana, responsabilmente si vuol mettere in evidenza nel discorso pubblico nostrano lo stravolgimento, il capovolgimento nell’etica del discorso, nell’etica della comunicazione per cui il re è vestito quando è nudo, è giusto quando è ingiusto secondo tutte le fasi del procedimento giudiziario. Non è solo una distorsione delle “verità”, ma un’autentica corruzione del tessuto comunicativo e degli stessi “discorrenti” per la capacità del potere della comunicazione di modellare le menti umane, soggiogate nel nostro caso alle fortune del capo.

Bisogna liberarsi da questa corruzione, da questo avvelenamento dei discorsi e delle menti, per restituire il discorso al libero confronto di opinioni ed alla formazione di convincimenti nella pubblica agorà . Si può invocare responsabilmente per la salute della comunicazione e democrazia una PULIZIA DELLE MENTI. Nel libero gioco delle agenzie di comunicazione, in particolare di quelle di contropotere, per un cambiamento primariamente di discorso.

Napoli, 25 giugno 2013
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