Domenica, 10 Novembre 2013 20:40

L'incognita dell'uomo solo al comando

Scritto da  Gerardo

Riflettiamo sull’articolo di Franco Garelli, apparso in “La Stampa” del 10 novembre 2013, in cui si legge che «le primavere della chiesa arrivano sempre senza segni premonitori». La frase in questione è di Alberto Melloni, autorevole studioso di storia del cristianesimo, che dedica il suo ultimo saggio, «Quel che resta di Dio», alla Chiesa di Jorge Bergoglio.




La svolta, dunque, non era nell’ordine delle cose, anche se non mancavano i segni premonitori. Negli ultimi 20-30 anni si stava allargando il divario tra ciò che accade nei 2 km quadrati che costituiscono il Vaticano e il resto del mondo, anche di quello cristiano e cattolico. Molti a Roma e dintorni coltivavano l’idea d’una chiesa «palestrata», più orientata a mostrare i muscoli nello spazio pubblico che attenta alla sua missione spirituale; più chiusa a riccio sui propri limiti e peccati interni (la pedofilia del clero, lo scandalo dello Ior, il carrierismo dei vescovi, i conflitti tra i movimenti ecclesiali, i traffici attorno alle carte del Papa) che in grado di attuare una purificazione evangelica. E ciò nonostante che gli ultimi pontefici cercassero di contrastare l’impasse di una situazione ecclesiale che rifletteva a livello religioso la crisi culturale dell’Occidente.

La scossa è certamente venuta dalla grande rinuncia di Benedetto XVI, anche se Francesco più che raccogliere il testimone dal suo predecessore ha cambiato registro e scenario. Basta con gli intrighi di Palazzo, non la scelta di un Papa capace di navigare nei meandri della Curia romana. Ma una figura esperta più di una fede vissuta che di una religione che cerca di legittimarsi a livello culturale e politico; capace di uno sguardo buono sul mondo.

Tutto bene, allora, con Francesco? Iuxta modum, direbbe Melloni. I meriti del nuovo inquilino di Santa Marta sono davvero molti, in quanto non ha paura di far gesti di misericordia e di tenerezza, richiama lo stile di Papa Giovanni XIII e l’aspirazione «pastorale» del Concilio Vaticano II, chiede alla chiesa tutta di essere povera e prossima alle periferie del mondo, attiva forme di collegialità a 50 anni dal Concilio. Tuttavia, per quanto si tratti di un pastore universale tenace, non basta un solo uomo al comando. Che ne sarà quando finirà la luna di miele? Quando il cerchio magico che attorniava i papi cercherà di riorganizzarsi?

C’è dunque il rischio che di fronte al carisma di Francesco la chiesa si impigrisca, beandosi del nuovo Papa. Di qui la necessità che le chiese locali e le comunità cattoliche di ogni dove, sensibili alla nuova stagione dello spirito, siano vigilanti e impegnate per incidere nella fisionomia di tutta la chiesa, per rinnovare le sue istituzioni e la sua presenza pubblica. Non si tratta di rinunciare ad affermare l’identità cristiana, ma condividendo il vissuto della gente comune, dialogando con tutte le fedi e gli uomini di buona volontà, testimoniando la novità d’un vangelo fecondo per le sorti della chiesa e del mondo.

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