Domenica, 08 Dicembre 2013 03:22

Per un inventario telematico delle comunità monastiche in Toscana

Scritto da  Gerardo

Con il contributo del Consiglio regionale della Toscana e la partecipazione della sezione Sociologia della religione dell’AIS, nell’ambito della Festa della Toscana 2013, il CISRECO ha presentato il seminario di studi Nel cuore mistico della Toscana. Viaggio fra gli eremi e i “custodi del silenzio” in terra toscana, che si è tenuto a San Gimignano, il 6 Dicembre 2013.
Nel seguito, una proposta di servizio per lo scambio di informazioni e conoscenze tra le comunità monastiche in Toscana e tra queste e il pubblico.




Per un inventario telematico delle comunità monastiche in Toscana

Introduzione

La questione di cui parlerò si articola in due parti: una ricognizione sulle comunità monastiche in Toscana e il loro inventario telematico; con quest’ultima espressione si intende una raccolta di informazioni con cui organizzare una base dati consultabile dal web.
Se all’inizio pensavo nei termini delle mie competenze, che sono quelle di redattore e gestore di contenuti per il web, mi sono presto accorto che il lavoro mi poneva due difficoltà: da un lato il reperimento delle informazioni – su cui poi dirò – e dall’altro la loro organizzazione, in termini di funzionalità e dunque dignità del lavoro.
In sostanza, non è tanto l’aspetto tecnico, o tecnologico, a preoccupare. La tecnologia è uno strumento di cui servirsi, ma il disegno dell’architettura di un database rivela un dato che, almeno per i non addetti ai lavori, è invece opportuno sottolineare, e cioè che la strutturazione logica del sistema dipende dall’elemento semantico. In sostanza, è il contenuto che determina la struttura. Per progettare una base dati occorrono gli identificativi comuni e unici tra i quali scegliere la cd. chiave primaria (es. per una community sul web si potrebbe prendere l’email di ogni persona che vi si registra), e poi una serie di altre categorie, le quali però devono rivelare pertinenza e salienza.
In definitiva, per quanto apparisse una questione tecnica, pian piano è diventato chiaro che senza una buona comprensione del fenomeno non c’è speranza di mettere a punto uno strumento di consultazione dignitoso. Posto ciò, ho cercato di capire anzitutto quali sono i tratti che caratterizzano il mio oggetto di ricerca e quali, tra essi, possono avere una significativa pertinenza. Non per ultimo, ho sperato di ricavare proprio da questa giornata, e in particolare dagli ospiti intervenuti, elementi interessanti per questo progetto.

Comunità monastiche
Molti sono i motivi per i quali non è operazione agevole fare un inventario delle comunità monostiche toscane. Per cominciare, è assai composito il paesaggio che compone la nostra indagine nel cuore mistico della Toscana: fra eremi, monasteri e custodia del silenzio, molte realtà non si presentano di facile lettura. L’impostazione di comunità religiosa, legata ai voti di povertà, ubbidienza, castità ecc., si presenta con quegli elementi di forte senso comunitario, concretamente riferiti alla dimensione quotidiana, e che tipicamente sono distintivi delle comunità monastiche. Ora, se la cifra che contraddistingue le istituzioni conventuali è un accento per dir così più debole sugli aspetti comunitari, molti di quelli che ci si presentano come conventi e pure di quelli che rintroviamo come monasteri, bene, non la esibiscono.
Anche l’ospitalità costituisce un termine di difficoltà. Molti monasteri, conventi e certose sono oggi molto noti e si lasciano conoscere per questa loro caratteristica, che però denota, talvolta, un approccio legato al mondo del turismo, per quanto turismo religioso, con confini però non sempre ben definiti.
Le comunità monastiche si rifanno per lo più al diritto canonico, sono cioè normate dalla legislazione cattolica, in cui il modello prevalente è quello benedettino, pur nelle varie trasformazioni subite nei secoli. Tuttavia, se ci si rivolge soltanto ai registri della legislazione cattolica si perde la possibilità di “vedere” i vari movimenti, decisamente più recenti, che si sono affermati dopo il Concilio Vaticano II. Tra questi, molti non rientrano in questa regola e non pochi vi stanno, collocandosene per così dire un po’ al margine.
Un ulteriore problema è dato dal movimento che potremmo dire “neo-monastico”, e che si rifà alla tradizione basiliana, greca, ortodossa e più in generale orientale.
Un altro filone, come accennato, è quello del neo-eremitismo, che talvolta pone il problema della vita mistico-religiosa in contesti urbani. Esso presenta tratti propri, pertinentizzabili e dunque distintivi. Tuttavia, si colloca fuori dal canone ecclesiastico e, non comparendo nei registri, non è di immediata individuazione.
In pratica, fin qui abbiamo trovato un certo numero di comunità (veramente, per il momento si tratta di poche decine), ma si ha motivo di ritenere che diverse altre siano disseminate nel territorio di questa regione. Individuarle richiederà un paziente lavoro.
Infine, in questo tentativo, si pone il compito di provare a fare chiarezza su ciò che è accaduto e che tutt’ora accade, in altri termini, sulle trasformazioni in atto nella storia di queste comunità.
Cercando di fare un inventario delle comunità monastiche, di scandagliare il cuore mistico della Toscana, ci si è insomma trovati impegnati in una ricognizione che ci ha messo davanti a una serie di quesiti. Quante, tra quelle trovate, possono essere veramente considerate comunità monastiche? In quante di esse, in altri termini, si vive secondo canoni realmente assimilabili a quelli che siamo abituati a considerare tipici della vita nel monastero? Come considerare le comunità eremitiche? Quante invece hanno un valore meramente storico o comunque storico-artistico? Infine, considerando in particolare ciò che potrebbe venire da questa giornata, in quale modo, le stesse comunità monastiche vorrebbero essere rappresentate in quella che ineliminabilmente è la “pubblicità” del web?

Per un inventario telematico
La risorsa che si ha in mente dovrebbe certamente avere lo spazio per ospitare le descrizioni delle varie realtà man mano censite. D’altronde, un elemento che emerge chiaramente è l’invito a una ricerca per così dire artigianale, cioè affidata a interviste da fare ai membri delle comunità che si è intanto cominciato a individuare.
Bisognerebbe dunque entrare in contatto con singoli monaci e a tal proposito si osserva che si tratterebbe di fare quello che, nelle teorie della conoscenza che provengono dall’ambito delle nuove tecnologie, è una ricognizione sulla base del sapere diffuso, distribuito e dunque collettivamente posseduto da quelli che potremmo dire i “primi appartenenti” e, in definitiva, i diretti interessati: tanto per capirsi, cominciando dai monaci. In pratica, è in molti di voi, innanzitutto, che c’è quel sapere e quelle informazioni da “pubblicizzare”, quei testi, cioè, che la risorsa dovrebbe contenere. È chiaro che non può né anzi deve esserci uniformità tra le varie istanze da rappresentare; pur tuttavia, dovrebbe essere possibile ritrovare un’unità, almeno a partire dal contenitore, sia in senso tecnologico, l’infrastruttura, sia in senso tematico, la referenza alla comunità monastiche.
Se è concesso fare un passo in più, che in effetti permette di completare il ragionamento, bisognerebbe rifarsi proprio a un’impostazione di user generated content, cioè di contenuti generati dagli utenti. Per inciso, dati o per meglio dire contenuti di tal fatta si connoterebbero anche come particolarmente obiettivi proprio per la ricerca da parte del sociologo.
Ciò detto, il passo in più consisterebbe allora nello sviluppo di una sorta di “WikiMonks”, vale a dire una struttura ben congegnata e appena avviata, il cui sviluppo affidare, di giorno in giorno, alla cura di chi ha più titoli per tramandare una tradizione, per contribuire alla costruzione di un’immagine che in ogni caso sarà consegnata, affidata alla sfera pubblica.
Una multiformità di voci e al tempo stesso un testo, collettivamente prodotto […], di grande qualità che – si passi il termine – non subisca ma al contrario approfitti di quell’apertura in cui il web di fatto si risolve, e che significa relazioni, contatti, scambi di informazioni e di esperienze, di esperienze che nascono proprio dalle relazioni.
Buon ultimo, tutto ciò sembra ricordarci l’esortazione di papa Francesco per un’apertura, che non sia solo per farsi conoscere, ma che serva prima di tutto a far conoscere, a far vivere attraverso l’esempio, la parola di Dio.
(G.F.)
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