Sabato, 29 Novembre 2014 22:24

Il paese della gioventù a TFF32

Scritto da  Gerardo

Non poteva che essere uno scandaglio profondo sullo stato della gioventù nel mondo attuale la 32° edizione del Torino Film Festival. Non poteva che essere così visto che il festival nacque 32 anni fa all’insegna del CINEMA GIOVANI. In concorso d’altra parte sono accettate solo opere prime o seconde (salvo rarissime eccezioni).
Nel seguito, la competente nota di Giuseppe Picone.



Il vostro cronista ha potuto vedere 10 film sui 15 in concorso e un totale di 26 sui 190 programmati in questa edizione (inclusi i film della lodevolissima retrospettiva sulla New Hollywood / Part two approntata dalla bravissima direttrice Emanuela Martini). Un piccolo campione, ma più che sufficiente per fare delle considerazioni preliminari prima che si pronuncino le giurie (stiamo infatti scrivendo nella mattinata del 29 novembre: le premiazioni ci saranno stasera alle 20 nella grande sala di Reposi 3). Considerazioni preliminari riservate, al momento, a Torino 32, la sezione del concorso ufficiale.

Dunque, che tipo di ‘paese della gioventù’ viene fuori dalla selezione ufficiale? Che tipo di impressioni, ‘sobbalzi’, ‘emozioni’ ha provato il vostro cronista nelle ‘mattinate al buio’ passate nell’isola felice del Cinema Classico di Piazza Vittorio Veneto 5, lontano dal frastuono, dalla calca, dalle file del Reposi e del Massimo? Tenteremo un abbozzo di lettura di 4 film: due molto amati e due che hanno provocato al vostro ‘lettore’ insofferenza, rabbia e qualche colpo di sonno (questi ultimi rivelatisi con il passare del tempo nella lunga carriera del vostro mangiatore di film, strumenti efficaci, quasi sempre, di analisi critica, diciamo così, ‘implicita’).

Partiamo da questi ultimi due. ‘Frastuono’ di Davide Maldi (Italia) e ‘Mercuriales’ di Virgil Vernier (Francia). Sono film nati da situazioni diverse. Più ambizioso e pensato come compiuto il film di Vernier. Più esercizio da saggio finale di una qualsiasi scuola di cinema, il film del nostro Maldi. Da entrambi i film scaturisce una visione piatta, drammaticamente bidimensionale della nostra gioventù. I giovani protagonisti (una classe del Liceo Artistico di Pistoia e tre ventenni trovatesi quasi per caso a vivacchiare intorno al complesso parigino delle Mercuriales) sono seguiti pedissequamente da un goffo detective che da l’impressione di non capire cosa sta facendo. Sono due film drammaticamente privi di sceneggiatura. E il frastuono del primo e il non-luogo metropolitano del secondo non riescono e non possono supplire ad uno straccio di sceneggiatura: vale a dire qualcosa che unisca ‘son et image’. Cosa insopportabile perfino nell’ultimo Godard (si parva licet). In realtà, se si voleva dar conto della aporia verso la quale si va dirigendo il paese della gioventù nel mondo attuale, questi due film in sé ne sono rappresentazione plastica, non quei giovani di cui si vuol parlare.

Ma veniamo ai due film che abbiamo amato. ‘Felix et Méira’ di Maxime Giroux (Canada) e ‘For Some Inexplicable Reason’ di Gàbor Reisz (Ungheria). Qui l’età dei protagonisti fa un piccolo balzo in avanti (non quella dei registi). Non più ventenni. Ma trentenni. Per l’economia del nostro discorso cambia poco. Sia in ‘Felix et Méira’, sia in ‘For Some Inexplicable Reason’, c’è una idea di cinema, c’è un mestiere e uno stile, c’è una fantasia creativa che davvero sa amalgamare i mattoni primigenii della settima arte. Ancora ‘son et image’. Gli stili sono completamente diversi. Più classico nello svolgersi della storia e più filosofico esistenziale il film di M. Giroux. Più scanzonato e anarcoide il film di G. Reisz. Felix e Méira si dibattono tra il bieco formalismo della comunità chassidica di Montréal e la voglia di vivere dei loro giovani anni. Fra la poesia e la dura realtà della vita. Fra gli empiti genuini (ed anche un po’ folli della propria insopprimibile individualità) e l’ineluttabile cadenza della vita quotidiana. Un film potente, fatto da un regista e da sceneggiatori (Alexandre Laferrière con M. Giroux) che si sono nutriti di robuste letture oltre che delle buie sale cinematografiche.

Altra cosa il film di Gàbor Reisz. Qui prevale il tono ironico ma profondamente indagatore su una città (Budapest) e su un gruppo di giovani adulti e il loro magnifico alfiere. Aron, pur con il suo tocco magistralmente scanzonato, fa venire in mente i personaggi della nostra passata gioventù, quando dalla fine degli anni cinquanta ai primi sessanta ci imbattevamo nei cinema in Antoine Doinel e in Morgan matto da legare. Per la verità Aron Ferenczik (l’attore protagonista) ci ha fatto venire in mente un altro attore (somigliante anche fisicamente), Hippolyte Girardot in ‘Un monde sans pitié’ di Eric Rochant, un film del 1989, premiato quell’anno alla Settimana della Critica di Venezia. Siamo trenta anni più avanti rispetto a Antoine Doinel e 25 anni più indietro rispetto ad Aron. Ma sia Antoine/Morgan, sia Hippo, sia Aron potrebbero darsi la mano e formare così una catena. La catena del paese di una disillusa gioventù.

Giuseppe Picone
San Gimignano, 29 novembre 2014

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