Diffondiamo il seguente articolo di Enzo Mazzi, tratto dal "Il manifesto" del 29 febbraio 2008, col titolo "Michele Ranchetti, lezioni di vita e di memoria".
Buona lettura!
Michele Ranchetti (Milano 1925 - Firenze 2008), illustre intellettuale di profonda cultura e di grande finezza, storico della chiesa e delle religioni, docente universitario, poeta, pittore, saggista, traduttore, consulente editoriale, editore; studioso, traduttore e curatore dell'edizione italiana di opere di Wittgenstein, Freud, Celan, Rilke, Benjamin; ha curato per i "Meridiani" Mondadori l'edizione della Bibbia di Diodati. Opere di Michele Ranchetti: Cultura e riforma religiosa nella storia del modernismo, Einaudi, Torino 1963; La mente musicale, Garzanti, Milano 1988; Gli ultimi preti. Figure del cattolicesimo contemporaneo, Edizioni Cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1997; (a cura di, con Mauro Bertani), La psicoanalisi e l'antisemitismo, Einaudi, Torino 1999; Scritti diversi. Vol. 1: Etica del testo, Storia e Letteratura, 1999; Scritti diversi. Vol. 2: Chiesa cattolica ed esperienza religiosa, Storia e Letteratura, 2000; Scritti diversi. Vol. 3: Lo spettro della psicoanalisi, Storia e Letteratura, 2000; Verbale, Garzanti, Milano 2001; Scritti in figure, Storia e Letteratura, 2002; Non c'e' più religione. Istituzione e verità nel cattolicesimo italiano del Novecento, Garzanti, Milano 2003. Opere su Michele Ranchetti: AA. VV., Anima e paura. Studi in onore di Michele Ranchetti, Quodlibet, Macerata 1998].
Si parla ormai di Michele Ranchetti al passato. Per parte mia preferisco, a un mese dalla sua morte, parlarne al presente. è lui stesso che c'ispira. "Vivo in una cassa da vivo: morto sarò risorto" scrive nella raccolta poetica Verbale (Garzanti 2001). È proprio il presente il tempo in cui irrompe il suo complesso messaggio di storico della Chiesa che da un lato vede l'impossibilità strutturale dell'istituzione ecclesiastica di aprirsi a un dialogo vero, sincero, con la democrazia e d'altra parte individua con l'ottimismo della speranza spazi di apertura nella prassi del cattolicesimo di base. è una bella lezione per la politica tutta orientata, da sempre ma oggi con più ossequioso trasporto, ad accattivarsi le gerarchie ecclesiastiche ignorando completamente il nuovo che nasce alla base della realtà ecclesiale.
Mettiamo a confronto, a titolo di esempio, due suoi messaggi estremamente attuali che rappresentano plasticamente come i due poli di una personalità combattuta fra pessimismo e speranza, affaticata dal bisogno e dall'impegno di pacificazione fra la vita e il proprio limite, cioe' fra le due realtà del nostro essere che sono una cosa sola ma che la cultura sacrale violentemente separa: "Precipita la vita nella sorte/ della non vita da cui viene/ e si confronta a quel nulla/ la misura del vivere: il morire", scrive ancora nel Verbale.
Il primo messaggio, quello che parla il linguaggio del pessimismo, così a me sembra, è un'analisi spietata pubblicata su "La rivista del manifesto" (numero 10, ottobre 2000) col titolo "Praevalebunt".
Partendo dal pontificato di Wojtyla compie un magistrale escursus, fortemente e lucidamente critico, sulla storia della Chiesa cattolica nel secolo scorso per concludere, pessimisticamente appunto, con una dichiarazione esplicita di dissenso senza apparentemente un barlume di speranza. "Questa Chiesa... non ha alcun bisogno di mediazioni: essa è e vuole.
Vuole la beatificazione di tutti i suoi capi, indipendentemente dalla storia 'profana’, si appropria di tutti i martiri, costruisce un universo di santi a sua immagine e somiglianza, invade tutti i territori della vita politica, civile, religiosa, tutti gli schermi e le formule di imbonimento (quanti frati figurano come i migliori suggeritori di prodotti culinari, come se la loro competenza provocasse la vendita di prosciutti e biscotti), disattende qualsiasi forma di meditazione, di raccoglimento, sfoggia i suoi giovani, pronti ad acclamare un pontefice sofferente prima di accorrere ad acclamare un probabile capo del governo che, a sua volta, si presenta come esempio di virtù cristiane, davvero improbabili.
"Era necessario questo esito? è certamente coerente e corrisponde alla progressiva, forse ineludibile erosione della cultura umanistica a vantaggio delle nuove forme, anch'esse di cultura, dei nuovi strumenti che hanno, appunto, nell'immagine e nella disponibilità dei nuovi accessi all'informazione non mediata i propri caratteri. Una Chiesa come questa corrisponde anche, così sembra, all'abbandono, non detto ma praticato, del cristianesimo come religione in favore di una Chiesa visibile in cui si compendia la storia secondo il prologo della Lettera agli Ebrei. Senza alcuna forma di ossequio o di consenso, occorre prenderne attoª".
Il secondo polo, la speranza, lo troviamo, sempre a mo’ di esempio, nella prefazione da lui scritta al libro della Comunità dell'Isolotto, Oltre i confini, Lef, Firenze 1995. Fu il primo incontro diretto fra una personalità apparentemente schiva ma in realtà partecipe e la comunità "il cui carattere e la cui forza - come lui scrive - non sono mai derivate dal riferimento a figure carismatiche".
Egli parte dall'Isolotto, ma il suo sguardo si estende su tutta l'area del "dissenso creativo" fiorentino, nazionale, mondiale. Lì nella base critica della chiesa e della società, che non è contrapposizione ma costruzione positiva di una "chiesa altra" e di una "società altra", vede e analizza acutamente germi di speranza. Per la realtà ecclesiale ma anche per tutta la società.
"La vicenda... Isolotto appartiene contemporaneamente ad almeno tre contesti: la storia di Firenze, la storia della chiesa locale, la storia della chiesa. Appartiene anche, molto più di quanto si sia fino ad ora considerato, alla 'storia del mondo’...
"Dal 1954 a oggi, in Firenze si sono succedute diverse forme particolari di esperienza e vita religiosa, e grandi figure rappresentative di essa. Da Elia Dalla Costa a don Facibeni, a La Pira, a padre Davide Turoldo, a don Lorenzo Milani, a Luigi Rosadoni, a padre Ernesto Balducci, i modelli di obbedienza e di proposta religiosa e civile si sono succeduti come momenti irripetibili, ciascuno nella sua unicità, e pure appartenenti a una sorta di costellazione religiosa, quasi un privilegio di grazia". Un elemento importante di speranza lo vede nel carattere evolutivo e dialettico della storia: "Questo consentirà di liberare la storia dell'Isolotto dalla prospettiva, in cui viene per solito chiusa, di una conflittualità particolare, quasi caratteriale, privata, presente sì ma come elemento 'perenne' della dialettica propria della storia della chiesa e alla fine riconducibile alla dicotomia fra trascendenza e immanenza o fra particolare e universale o fra visibile e invisibile o profezia e storia, ossia alle coppie e ai nessi su cui si costruisce l'esperienza religiosa".
Infine lo sguardo prospettico, la profezia, il gettare "oltre" la luce della speranza, coerentemente col titolo del libro per cui scrive la prefazione: "Per questo, in certo modo, il Concilio e le sue carenze, ma anche la restaurazione appartengono ancora, o così sembra, alle categorie del sacro, dell'istituzione, della Chiesa discente e docente, a distinzioni e caratteri che la storia di oggi, e non solo la storia religiosa, non sa più e non deve più forse riconoscere come presenti e operanti".
In questo prepotente ritorno del sacro che ci sconcerta, in questa stagione culturale e politica in cui sono così centrali i temi etici e il rapporto con la Chiesa, le riflessioni dello storico illuminato e fine poeta sono parecchio illuminanti. Purtroppo la politica difetta di cultura e non è capace di approfittare di queste lezioni di memoria e di vita. Michele Ranchetti è ognuno di noi, la sua lotta fra pessimismo e speranza è la nostra lotta, la sua fatica di pacificazione interiore e di liberazione dal dominio del sacro è la nostra fatica.