
Nel seguito, abbiamo il piacere di presentare una ricostruzione, ad opera di Domenico Pizzuti, delle vicende dello sgombero violento dei campi Rom di Ponticelli.
Ci auguriamo che si renda ragione dei fatti e delle diverse responsabilità.
	  
 
	  	  	  
	  
	  	
I vespri napoletani di Ponticelli
Di Domenico Pizzuti
Le vicende dello sgombero forzato dei campi di romeni dal quartiere napoletano di Ponticelli sotto la pressione di gruppi della popolazione esasperata e manovrata  da nascosti fili ma non tanto costituiscono un‘autentico affaire  che va disvelato con una corretta informazione ed interpretazione per cogliere la posta in gioco, gli attori secondo  una  regia nascosta ma reale,  ed il concorso di fattori  e disfunzioni che emergono alla prova dei fatti. 
In primo luogo, la posta in gioco era la disponibilità  di un’area occupata  da campi abusivi di famiglie di rom per la costruzione di  abitazioni, servizi privati e pubblici come il Palaponticelli, per la quale  secondo il Programma di Recupero Urbano (PRU) approvato dalla Giunta Comunale erano destinati 67 milioni di euro. Se entro il 4 agosto 2008 non iniziavano i lavori dei cantieri per gli edifici previsti  venivano revocati i finanziamenti ministeriali con una perdita non solo per le imprese edili. Questo è il primo fatto ma altrettanto scatenante  nella situazione di crescente  degrado  del  quartiere  è stato, a nostro avviso, il recupero di una sicurezza esistenziale minacciata non solo dai rom “ladri  di bambini” - secondo uno stereotipo  diffuso e confermato da un presunto rapimento di un bambino -  e più in generale dal diverso che disturba per stile di vita e manifestazioni di devianza da standard  sociali  (sporcizia, roghi di copertoni per estrarne il rame, accattonaggio, ecc.). Quindi disponibilità di un’area da acquisire con modalità civili e così per  il rapporto con il diverso da accogliere  civilmente in vista di una possibile inclusione sociale. 
Attore,  non immediatamente delle aggressioni e dei roghi, è la rappresentanza  della Municipalità  che a più riprese aveva chiesto lo sgombero dei campi dall’area   per l’attuazione  del PRU con l’appoggio pubblico negli ultimi giorni anche di componenti del PD con un manifesto anti-rom, senza che per  responsabilità non chiare si trovassero  soluzioni abitative alternative per i rom romeni nell’ambito  del quartiere  o nelle vicinanze. Lo sgombero dei campi era stato d’altra parte programmato dalla Prefettura di Napoli, ma è stata preceduta stranamente  dai moti  popolari  anche sotto l’onda di un presunto rapimento di un bimbo da parte di una giovane rom da accertare  dalla Magistratura.  Sul fronte delle aggressioni ai vari campi sono state in prima fila donne vocianti  contro i rom “ ladri di bambini” ed i facinorosi scorazzanti con  moto a lanciare bombe molotov per incendiare le baracche  ed impedire  il ritorno dei rom alle  baracche di legno e latta. Quale il ruolo della  camorra o dei clan locali normalmente interessati ad infiltrarsi  nei settori dell’edilizia e dei lavori pubblici? Secondo i Servizi dietro i raid ed i roghi non ci sarebbe la regia dei boss, ma  un secondo alla livello della malavita fatto di focolai più o meno spontanei, esasperazione popolare  e trame,  a nostro avviso secondo una “giustizia fai da te” di  gruppi usi  alla violenza  per la soluzione dei conflitti di una gravità non sottolineata abbastanza  (La Repubblica Napoli, 17 maggio 2008, p.V). Risulta in parte smentita l’interpretazione corrente   per certi versi assolutoria  che attribuiva  raid e roghi mitica camorra e  la responsabilità di tutta la triste vicenda,  mettendo in ombra altre responsabilità,  ritardi e disfunzioni istituzionali e sociali. Tutta la vicenda svoltasi nei “Vespri di Ponticelli” con i  raid progressivi contro i diversi campi fino all’  eliminazione di tutti  i rom dal quartiere  dimostra senza ombra di dubbio un disegno concertato  mirante alla cacciata di tutti i  Rom dal quartiere  con primari e comprimari per un intreccio di interessi politico-affaristici e criminali che va disvelato. E’ quindi un affaire  orchestrato   sulle vite delle famiglie  rom  di Ponticelli,  di cui alcune tra l’altro portavano le  ferite di precedenti espulsioni da Casoria e dal Frullone, che rischiano di essere trattati come rifiuti umani da espellere  dalla vista.  
Né si possono tacere i ritardi e l’inconcludenza dell’amministrazione comunale napoletana nei riguardi di sistemazioni vivibili di rom romeni o meno, anche se non si riscontra  come in altre realtà del paese un pregiudiziale atteggiamento di ostilità, e progetti ventilati di  strutture  di prima accoglienza per rom romeni da parte dell’Assessorato  alle politiche sociali come la Scuola “Deledda”   non hanno avuto finora attuazione.  Per onestà culturale,  a parte alcuni pochi gruppi volontari operanti a favore dei diritti delle popolazioni rom, bisogna altresì  interrogarsi sulla latenza ed indifferenza della società civile ed in particolare del Terzo settore  per quanto riguarda iniziative di accoglienza e  di integrazione di rom e simili, per non gettare  la croce solo su alcuni. In questo campo si nota  un ritardo culturale prima che politico nei riguardi delle politiche di accoglienza ed integrazione sociali di immigrati e rom.
I “Vespri di Ponticelli” non debbono facilmente essere archiviati ma approfonditi negli studi perché ci sono ancora aspetti che debbono essere   chiariti. Essi sono stati una sconfitta non solo per un quartiere,  ma per un’intera città con la sua classe dirigente politico-amministrativa alle prese con i roghi dei rifiuti che nuovamente si accumulano nelle strade  e  soprattutto per l’umanità dei napoletani  subissata  dalle voci delle donne scatenate  contro altre donne  e dai  fumi delle baracche  incendiate.  E per la stessa cristianità che  non sempre riesce a modellare un ethos  di accoglienza in situazioni di disagio sociale.