Venerdì, 11 Luglio 2008 02:16

A proposito di "Alle radici della Toscana contemporanea"

Scritto da  Gerardo

Fra le recensioni fatte al libro di Arnaldo Nesti, “Alle radici della Toscana contemporanea”, con piacere pubblichiamo quella di Roberto Barzanti, dopo la presentazione fatta a Siena nelle scorse settimane presso la Biblioteca Comunale degli Intronati.


Sulla vita religiosa in Toscana non sappiamo molto. Ora ne sappiamo di più grazie alla meticolosa indagine condotta da Arnaldo Nesti (“Alle radici della Toscana contemporanea. Vita religiosa e società dalla fine dell’Ottocento al crollo della mezzadria”, Franco Angeli, Milano 2008, pp. 952, euro 50) si muove su più piani: dalla religiosità colta e atteggiata, elitaria dei ceti dirigenti a quella, umile e quotidiana, incarnata dai contadini delle campagne toscane, dal popolo in ogni strato, nelle grandi città e nei centri minori di una Toscana che in realtà è un insieme di regioni. Di Toscane è anzi corretto – doveroso – scrivere e attentamente registrare tendenze e caratteri di un variegato “mosaico”. Specialmente se si tratta di prendere in esame la zonizzazione frastagliata di diocesi e parrocchie, con le diversità di umori e accenti loro propria.
Guardare alla “vita religiosa” significa mettere in primo piano i nessi con la struttura sociale di pratiche, sensibilità e idee, ideologie. La base documentaria della quale si giova Nesti è di primaria importanza e fino ad oggi per la massima parte inesplorata. Al vaglio dell’autore e dei suoi collaboratori passano relazioni di parroci, relazioni di vescovi scritte in occasione delle loro visite “ad limina”, relazioni di visitatori apostolici alle diocesi toscane, cronache reperite presso gli archivi diocesani, organi di stampa e fonti orali raccolte in un ampio lasso di tempo. Non è l’abbondanza che fa difetto. Semmai quest’enorme mole di materiale preso in considerazione stenta talvolta a organizzarsi in discorso coerente, sicché si ha il desiderio di poter leggere integralmente certi testi, citati per squarci e apprezzare sfumature di linguaggio, replica di formule, giudizi e indicazioni. Insomma un’edizione di testi adeguatamente commentata non sarebbe stata operazione di minor interesse: anzi resta tuttora verifica critica essenziale per un lettore avvertito. L’asse è prevalentemente sociologico e di antropologia culturale. Si veda quanto si ricava dalle pagine del volumone di Nesti su Siena e dintorni. Sulla scorta di spunti offerti da articoli e prese di posizione di Federigo Tozzi, Piero Misciattelli, Domenico Giuliotti, Idilio dell’Era (don Martino Ceccuzzi) viene richiamato l’”antimodernismo totalizzante” documentato da riviste come “La Torre” o da ricorrenti interpretazioni letterarie, tese a secondare “una diffusa tradizione indulgente a moduli populistici e devozionali” dove storia e leggenda s’intrecciano inestricabilmente ed il territorio senese è presentato quale “sterminato scenario di mistica luce”.
Il viaggio nel Senese prede le mosse dalle impressioni di J.C. Fulchiron,un viaggiatore francese che, a metà Ottocento, esalta di Siena “dolcezza di costumi” e smisurato coraggio civico. J. J. Poujoulat si sofferma a lungo sulle forme della religiosità popolare che punteggiano la liturgia del palio: “Coloro che montano i cavalli durante il Palio si confessano e si comunicano come se dovessero morire, poiché i cavalieri possono darsi dei colpi di frusta per cadere e uccidersi”. Colorita drammatizzazione a parte, il legame tra religiosità pubblicamente manifestata e mondo delle Contrade e del Palio appare molto forte, ricorrente e caratterizzante. L’autore fa propria questa lettura, che assegna alla festa il ruolo di una complessiva trasmissione di valori e atteggiamenti, di un’“identità cittadina” sostenuta da una “religione civica” di salde radici. In questo senso si conferma lo spessore religioso della celebrazione senese, luogo per eccellenza di scambio tra amore per la comunità e attaccamento a usanze, date, patroni di un calendario straordinariamente ricco. Ai momenti della religiosità che permea l’agenda del capoluogo e dell’arcidiocesi senese non sembra corrispondere un’effettiva, radicata autenticità di fede. Il visitatore apostolico padre Pacifico Carletti è piuttosto esplicito in un’allarmata relazione del 1906. “Vi regna un indifferentismo veramente glaciale per ciò che riguarda la sostanza del cristianesimo, le cui virtù essenziali sono molto disconosciute e meno praticate”. Tra i preti, e soprattutto tra quelli “addetti al duomo” non mancano comportamenti che suscitano scandalo: “La condotta di costoro fa sospettare anche di altri di dubbia fama e crea uno stato di cose nocivo alla Religione e getta il discredito su tutto il clero che purtroppo a Siena non gode di tanta stima in fatto di costumi”. A completare il quadro ecco l’“indisciplinatezza” di molti seminaristi, denunciata dall’arcivescovo Tommasi. Così non sorprende che nel 1929 a Siena città vada a messa il 37,4% delle donne e appena il 14,91% degli uomini.
Il cattolicesimo politico è fragile e dilaniato, tollerante e comprensivo verso lo squadrismo fascista. Il comitato provinciale dello sturziano Partito Popolare, il 4 dicembre 1922, approva la scelta di collaborare con il governo Mussolini. Ma non tutti concordano: “si era creata non solo una lacerazione ma l’esistenza di due sedi, l’una a Palazzo Piccolomini-Bandini, l’altra in via Cavour”.
Le conclusioni di Nesti sono severe: “In un momento critico e di grande sfida culturale ed etico-sociale la religione di chiesa punta ad essere un fattore essenzialmente della religione civica, venendo a saldarsi con la ‘religione del palio’”. Dove è da notare l’insistenza sulla nozione di “religione civica”, assonante con quella oggi tanto fortunata di “religione civile”. La prevalenza di attenzione concessa alle vicende politiche, alle cerimonie paliesche e alla cultura alta non lumeggia abbastanza la religiosità nel vissuto quotidiano dei quartieri.
Il bilancio non è esaltante neppure a Montepulciano, dove padre Strozzi rileva – nella sua visita del 1907 – una generale “indolenza”. Nelle campagne era più percepibile la persistenza di una più larga adesione alle pratiche devozionali. L’arcivescovo Enrico Bindi tocca un punto decisivo: “La famiglia del campagnolo quanto più è lontana dai miasmi della città e delle borgate tanto più è costumata e religiosa”. L’avanzare della modernizzazione è avvertito come una minaccia. Non aver accetto la sfida, con i rischi e gli stimoli a rinnovarsi che le erano connessi, ha provocato indebolimento e distacco. Non ovunque: il vescovo di Montalcino Alfredo Del Tomba si consola di un clero disciplinato e “immune dall’influsso modernista”. E anche lui non può fare a meno di accompagnare le sue note – del 1916 – con osservazioni molto mondane: “Nella città di Montalcino vi è solo una loggia massonica, ‘triangolo’ con pochi adepti. Parecchi invece sono gli iscritti al socialismo, ma non difficilmente tornano a migliori consigli”. Questa tendenziosa politicità dell’analisi spiega che cosa sia successo dopo e la divaricazione, crescente, tra la gerarchia e “i fautori del liberalismo e del socialismo”.

Roberto Barzanti
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