Lunedì, 04 Aprile 2005 02:41

Pluralismo, etica e religiosità: la geostrategia politica di Karol Wojtyla

Scritto da  Gerardo

Una foto di Karol Wojtyla
È scomparso Karol Wojtyla e vogliamo sottolineare, ripubblicando integralmente l’Editoriale del n. 46 di Religioni e Società (maggio-agosto 2003), il suo impegno per la pace, contro le guerre, contro la miseria delle menzogne con cui la politica ha voluto avallare questo impegno – finanche al “silenzio di Dio […] disgustato dall’agire dell’umanità”.

E come questo impegno abbia a svolgersi sul terreno di quella “anomalia misteriosa” che è il pluralismo.
Editoriale, di Arnaldo Nesti

Non molti anni fa, al termine di un convegno da me promosso, fui avvicinato da un illustre cattedratico che mi volle fare dei complimenti per il lavoro fatto. Come se fossimo in camera caritatis, senza che nessuno sapesse e nessuno vedesse, dopo un rapido scambio di pareri su aspetti e problemi della vita accademica, mi invitò caldamente a scrivere una nota, da pubblicare su un preciso quotidiano, per dare un segnale esplicito al mondo accademico sulla mia effettiva appartenenza politico-culturale. “È tempo che tu prenda una posizione chiara. Tu dovresti fare una bella recensione a un libro riguardante la figura e l’opera del Papa”.

Allora, ringraziai il chiarissimo professore del suggerimento. Gli dissi, più o meno: “Grazie dei complimenti e dei suggerimenti; nei prossimi giorni vedrò quello che riesco a fare”. Per quanto, come si dice, “Parigi val bene una messa”, non me la sentii di scrivere, nonostante tutto, per “secondi fini”, e la recensione non la feci.

Ho ritenuto opportuno ricordare l’episodio a distanza di molto tempo perché adesso, dopo averne parlato anche in redazione, ho pensato non solo opportuno, ma doveroso, aprire questo numero di Religioni e Società con un editoriale che vuol esprimere un deferente e sincero omaggio a Giovanni Paolo II, a questo vecchio Papa, per la sua energica passione per la pace, per il suo infaticabile impegno contro la guerra.

Omaggio dunque al Papa, che nonostante la sua icona di vecchio col volto sofferente, le mani tremolanti, che si aggrappa al pastorale suo bastone d’argento per sostenersi e stare in piedi, ha dimostrato di possedere un singolare vigore, di recuperare impreviste risorse quando si e trattato di dire no alla guerra, no a una guerra preventiva che non ha fondamento etico e giuridico, no anzi “mai più la guerra”.

In altre circostanze anche recenti, e mi riferisco all’apertura dell’ultimo Giubileo, con la spettacolarizzazione televisiva, mi hanno lasciato perplesso i molti discorsi, i commenti, gli inni alla solidarietà e alla pace, e mi sono chiesto se non sia scattata “la tagliola” della “eterogenesi dei fini”, per la quale chi esagera nel perseguire un obiettivo ottiene infallibilmente l’effetto opposto. Non di rado l’azione del Papa e finita in un brodo di messaggi “buonisti”, senza passione e senza storia.

In questi mesi invece la persona del Pontefice, tesa e assorta, con gli occhi che guardano lontano, ha avuto la forza di dire parole chiare e nette contro ogni guerra, evocando il male e il dolore del mondo. Ha fatto vibrare il mysterium salutis evocando il silenzio di Dio e dando voce a una nuova coscienza a livello planetario, che si interroga sulle strade da battere per una nuova socialità, per un nuovo pluralismo solidale. Il Papa ha saputo invitare alla mobilitazione per la pace, senza ricorrere a un generico ed emotivo pacifismo, secondo l’indole di una Chiesa mater et magistra. Come in un crescendo, il suo intervento si e fatto sempre più forte e robusto quanto maggiore si presentava la minaccia della guerra.

Mi sia permesso di ricordare alcuni interventi. Durante l’udienza generale del passato 11 settembre il Papa, fra l’altro, ha detto: “La sofferenza, la violenza armata, la guerra, sono scelte che seminano e generano solo odio e morte”. Il successivo 21 ottobre ha dichiarato: “Nel nome di Dio ripeto, ancora una volta: la violenza è solo una causa di morte e di distruzione che disonora la santità di Dio e la dignità dell’uomo”. Durante l’udienza generale dell’11 dicembre ha drammaticamente evocato il silenzio di Dio: “Oltre alla spada e alla fame c’e infatti una tragedia maggiore, quella del silenzio di Dio che non si rivela più e sembra essersi rinchiuso nel suo cielo, quasi disgustato dell’agire dell’umanità”. Nel discorso del 13 gennaio, al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, ha detto chiaramente: “No alla guerra”. Pochi giorni prima, il 9 dicembre, alla vigilia della fine del Ramadan, ha auspicato che il comune atteggiamento di religiosa penitenza accresca la comprensione reciproca fra cristiani e musulmani chiamati, oggi più che mai, a essere insieme costruttori di giustizia e di pace. Prima dell’Angelus del 2 marzo u.s. ritornava sul tema, invitando a vivere il giorno delle Ceneri, il 5 marzo, “per la causa della pace, specialmente mediorientale”.

Il valore della pace viene ribadito l’11 marzo, nel quarantesimo anniversario della Pacem in terris. Senza riserve si pone sulla scia del messaggio di Giovanni XXIII che ancora il 24 maggio 1963, sul letto della morte, dichiarava: “Ora, senza dubbio, come mai […] noi siamo chiamati a servire l’uomo come persone, e non solo i cattolici, difendere prima di tutto e dappertutto i diritti dell’uomo, e non solo i diritti della Chiesa Cattolica […]. E giunto il momento di vedere i segni dei tempi, capire le possibilità che si aprono e scorgerne le prospettive” [Dalla dichiarazione di Giovanni XXIII a mons. Loris Capovilla, riportata da A. KRASSIKOV, L’opera di un grande pontefice vista da Mosca].

Sulle posizioni del vecchio Papa di Roma si sintonizzano le chiese cristiane, suggellando la centralità della causa e della cultura della pace. Significative al riguardo sono le comuni dichiarazioni dell’arcivescovo cattolico di Westminster e dell’arcivescovo anglicano di Canterbury il 20 febbraio u.s.: “Gli eventi degli ultimi giorni indicano che persistono ancora dubbi circa la legittimità morale, senza dire delle imprevedibili conseguenze umanitarie e politiche, di una guerra in Iraq. Tutte le parti coinvolte in questa crisi si uniscano attraverso le Nazioni Unite, al fine di rendere inutile il trauma e la tragedia della guerra”.

L’azione del Papa si rivela non solo un segno di grande spessore etico-religioso, ma anche di lungimiranza sul piano della geostrategia politica. La difesa papale della pace in nome di Dio sta a sottolineare come siano deboli le tesi dell’inesorabilità dello scontro delle civiltà, segnatamente contro l’Islam. Il Papa ha vigorosamente evidenziato la sua presa di distanza da chi pretende di identificare il cristianesimo con la civiltà occidentale, e in maniera forte da chi interpreta questa guerra, una “guerra culturale dai connotati giudaico-cristiani”, come fa la Free Congress Foundation, esibendo la convinzione messianica che Dio abbia affidato all’America il compito di “essere un faro per le nazioni” e di diffondere il verbo democratico, se necessario, con la forza, con i missili.

Lo sforzo del Papa e di tutte le chiese cristiane per evitare un nuovo conflitto e stato straordinario e nonostante tutto si e verificato, secondo la Gaudium et Spes (n. 78), che ci si sia uniti “a tutti gli uomini sinceramente amanti della pace per implorarla dal cielo e per attuarla”.

Come affrontare, nell’orizzonte di ciascuna delle tre religioni monoteiste, il tema dell’unico Dio di fronte all’esistenza delle altre comunità di fede? Verità e alterità sono i punti tensionali. Il pluralismo e un’anomalia misteriosa. In quale direzione cercare per abbozzare qualche risposta?

Rispetto a queste posizioni e davvero penoso dover constatare l’emergere della grande menzogna con cui si era arrivati a giustificare la guerra in Iraq, come se fosse dotato del miglior esercito del Medio Oriente, o avesse disponibilità di uno straordinario quantitativo di armi chimiche e batteriologiche, forse dell’atomica, con una guerra chirurgica senza morti per i civili, grazie all’uso di bombe intelligenti.
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