1. Sulla globalizzazione
Molto è stato detto al riguardo. Molti contributi hanno messo in risalto aspetti connessi al nomadismo e alle ibridazioni culturali. Negli ultimi decenni, in molti paesi si sono registrati tassi di crescita economica che un tempo sarebbero stati inconcepibili. Questi cambiamenti sono con più evidenza in Asia, ma non solo lì.
Indubbiamente significativa è la diffusa ricerca del proprio sé autentico ma anche, specialmente in Occidente, non può non preoccupare la tendenza a considerare lo straniero, il diverso, come fonte di pericolo, di paura e di disgregazione sociale. La globalizzazione, mentre con la rivoluzione delle comunicazioni e dei rapporti moltiplica i contatti tra le culture, allarga anche il senso della paura dell’altro come diverso. Al riguardo osserva T. Todorov: “È barbarie non riconoscere all’altro la piena appartenenza all’umanità”. Purtroppo, buona parte dell’opinione pubblica occidentale tende a considerare barbari coloro che non possiedono la sua cultura.
La Globalizzazione attuale comporta la strada della criminalizzazione dell’immigrazione delle persone che provengono dai paesi più indesiderati.
Il fenomeno migratorio è ritornante nella storia dei popoli, ma quello attuale mette in risalto le contraddizioni della cultura liberale e democratica. Le migrazioni sfidano la sovranità e i confini degli stati che ora vengono pattugliati non soltanto con leggi e polizia ma anche con una vergognosa ideologia xenofoba e razzista. Che dire dell’Europa che aspira a diventare il faro della moralità cosmopolita e dei valori democratici, che si fa quasi fortezza per difendere la propria civilizzazione contro i “boat people” disperati che cercano di sopravvivere, sfuggendo alla fame e agli abusi? Che dire, dunque, del muro dell’Occidente contro i poveri del mondo?
Di fronte allo sviluppo della globalizzazione c’è anche chi mette in luce (Fared Zakaria) che, mentre gli Stati Uniti stanno perdendo il predominio sul pianeta, stanno emergendo tanti nuovi centri di potere dislocati un po’ ovunque nel mondo. Fortunatamente, è dimezzata in venti anni la percentuale delle persone che vivono con meno di un dollaro al giorno. Stiamo entrando in un mondo postamericano (si pensi alla situazione latinoamericana). Il cambiamento epocale non può consentire distrazioni.
2. Lampedusa un paradigma
L’attenzione che è stata dedicata a Lampedusa, compreso lo scambio epistolare con quella parrocchia, mi ha consentito di analizzare da vicino un fenomeno, quello dell’immigrazione, nei suoi termini ravvicinati, evidenziandolo come regola drammatica, tra affari illeciti e sofferenza.
Nel 2008 sono 14 milioni le persone a rischio di fame nel Corno d’Africa; a Lampedusa sono immigrati in 20.000. Si stima che negli ultimi 15 anni siano sbarcati in 250.000. Si stima in particolare che solo nel 2008 siano 580 gli immigrati morti o dispersi sempre a largo di Lampedusa. Mediamente la durata del viaggio dall’Africa all’imbarco in Italia è di circa due anni. Senza dire delle speculazioni e dei condizionamenti, del mafioso giro d’affari, cui devono sottostare per poter trovare il mezzo di imbarco. Ho avuto modo di scrivere della grande porta dello scultore Palladino per ricordare gli immigrati dispersi. Nascosta dietro il depuratore, al momento attuale, non onora un sacrificio straniero, finisce per essere anche volgare se si pensa, in modo speciale alla fiducia che anima i migranti approdati e soccorsi nell’isola. Purtroppo qui si semina la paura e si raccoglie la xenofobia. Giustamente gli enti locali fanno leva sull’emergenza in cui si trovano, ma in deroga alla legge facendo leva sulla bellezza assoluta della natura, non si rendono conto che l’isola sta diventando un blocco di cemento?
Effettivamente Lampedusa è diventata il paradigma che evidenzia come l’Italia ha perso la sfida dell’accoglienza. Paradossalmente la porta eretta di M. Paladino è diventata la porta chiusa dell’Europa.
Il sindaco di Lampedusa, che non ho potuto incontrare nel mio recente soggiorno isolano, ho visto che nel suo studio ha appeso la foto di Papa Benedetto XVI. Mi sorprende ma assai di più mi colpisce un suo giudizio sugli immigrati: “La carne dei negri puzza anche quando è lavata”. Non è molto distante dalla sua vice sindaco, senatrice della Lega eletta in un collegio della Emilia Romagna. A suo parere il centro dei clandestini va trasferito in mare, su una nave militare. La vice sindaco da anni si batte per l’annessione dell’isola alla provincia di Bergamo. Ebbi occasione di incontrarla e di scontrarmi, alcuni anni fa, in una trasmissione TV su canale 5, con Maurizio Costanzo. Fin da allora si batteva per “Lampedusa libera”.
Come spiegare questo atteggiamento di fastidio nei riguardi degli immigrati? L’Italia cristiana sembra far propria una distinzione fra i nomadi e gli annegati. Commozione nei confronti dei primi fastidio nei confronti dei secondi. Si stanno recuperando certe dottrine medievali distinguendo i poveri vergognosi, caduti in disgrazia nell’ambito della propria comunità e dunque meritevoli di pubblica compassione, dai forestieri “ vagabondi e parassiti”, indegni di ricovero e di elemosina, tantomeno di diritti. Basti leggere la fondamentale opera di B. Geremek, “La pietà e la forca. Storia della miseria e della carità in Europa” (Bari, Laterza), per trovare le radici storiche di una regressione culturale.
3. Il polisemico cattolicesimo italiano
Ho fatto cenno alla discrepanza diffusa fra spirito di pietà e ricorso alla “forca” presenti nel mondo cattolico italiano. Alla luce anche di altri fatti è opportuno sottolineare che parlare di cattolicesimo in Italia e quindi di una sua nuova stagione post secolare, è perlomeno ambivalente in quanto coinvolge fatti e persone profondamente diversi fra di loro. Ezio Mauro ha scritto: “Il grande ritorno della religione nel discorso pubblico e nello spazio politico non è avvenuto in Italia attraverso il “fatto” cristiano, e cioè il messaggio della rivelazione e del Credo, ma attraverso la precettistica e la dottrina sociale, nel presupposto che coincidano entrambe con la Verità e con il diritto naturale”. Si è verificata la ideologizzazione morale del cristianesimo. Dove la norma e il precetto parlano più del Credo e del Vangelo ha recintato un perimetro nuovo e vasto inglobando gli atei devoti e la nuova destra paganizzante italiana (“La Repubblica”, 5 settembre 2008 p. 1-30). In altra sede, commentando il nuovo profilo del cattolicesimo, ho messo in risalto come in Italia il cattolicesimo rinvia spesso a un fenomeno culturale, connesso all’essere italiani. La credenza è altro e diverso. Non è un caso che le ricerche mettono in luce il gap che esiste fra credenza e appartenenza. Ed anche la credenza si presenta con modalità differenziate, “a modo mio”. Di fronte al mutamento in atto dove sta la forza della caritas? Dove e come prende corpo la rinascita per fede che è ben altro e porta ben lontani dall’ipotesi di un Dio italiano che cammina nel paese naturalmente cristiano che non aveva mai conosciuto una via italiana al cattolicesimo?
È stata positiva la partecipazione di un consistente gruppo di giovani sociologi di distinte università italiane. Mi auguro che in futuro possa essere meglio utilizzato l’apporto dei giovani studiosi. In tal modo la International Summer School ha evidenziato il suo volto originario: essere una singolare occasione di scambio e di formazione, un prezioso campusa, di e fra giovani studiosi di scienze socio-religiose, e non solo provenienti dalle università italiane.
4. Un riferimento, infine, al sociologo prof. Ardigò
A conclusione di queste prime considerazioni che spero siano motivo di riflessione in vista delle future attività, mi sia permesso ricordare il prof. Ardigò che è scomparso da alcuni giorni. Non lo faccio per piaggeria, anche perché dovrebbe essere noto che non gli sono stato vicino in vita né per interessi scientifici né per opzioni accademiche.
Tengo però a dire che ho condiviso la sua forte amarezza per la situazione ecclesiale. Mi piace ricordare, in particolar modo, un suo commento sul card. Ruini, allora presidente della Cei: “Vedeva troppe lusinghe agli atei devoti in un episcopato-partito terrorizzato dall’isolamento culturale al punto di accantonare ‘la grande mistica’ a favore dell’accordo-convenzione con l’ipocrisia del “facciamo come se”, dell’etsi Deus daretur.