Nato due anni fa in Via de' Macci, in sinergia con il "costoso - ma non caro", come sottolinea il gestore Fabio Picchi, ristorante "Il Cibrèo", nel quartiere di S. Ambrogio, presso Borgo S. Croce, il "Sale" non è un teatro "aperto", ma un circolo culturale.
Tuttavia è un teatro vero, nato dove in epoca rococò (appunto fine 1600 inizio 1700) sorgeva il "Collegio delle Mal Maritate", alias (oggi diremmo) ragazze madri, poi varie volte ristrutturato, ma per decenni sostanzialmente inagibile come luogo di spettacolo (spettacolazione, se vogliamo), poi, su spinta di Fabio Picchi, ma anche di sua moglie, l'attrice/autrice/regista Maria Cassi (del duo "Aringa e Verdurini", ma ora attiva come regista, coordinatrice e altro, nonché da un anno Assessore alla Cultura della Provincia di Firenze), nasce il "Teatro del Sale", ovviamente tenendo conto delle esigenze architettoniche e artistiche di fondo, quali le bellissime colonne d'epoca, giustamente irremovibili e intangibili.
Un limite, ma anche un'opportunità: ciò implica la proposta di spettacoli musicali, talora legati anche alla danza e anche al monologo (quasi esclusivamente) teatrale, dove esistono varie possibilità, ovviamente, legate alla creatività teatrale, sostanzialmente infinite (n+1, diceva Deleuze per la sessualità) del teatro e/o dello spettacolo.
Un'occasione, che va pagata annualmente, con una tessera, con diverse opzioni, quella normale, abbordabilissima, quella "da sostenitore", che comporta un contributo, appunto, al teatro, che è un circolo culturale privato, ma non privatistico.
Il "Sale" non è un "non-luogo" nel senso di Marc Augé, non solo perché è un"teatro", ma perché, appunto, è un luogo d'aggregazione forte, dove persone diverse, per origine e condizione sociale, culturale, linguistica (molti iscritti sono statunitensi, inglesi, germanici, francesi, austriaci, australiani, ma come rileva sempre Picchi nelle sue gustosissime presentazioni, anche Livornesi e Pisani, cioè a dire si tratta di un luogo che aiuta a superare le ataviche controversie di carattere campanilistico, che però in Toscana, ben più che altrove, hanno dietro di sé un background storico profondo. Sito in un quartiere non propriamente centrale, ma neppure periferico (una situazione per la quale Firenze ancora una volta è"unica"), legato anche economicamente, ma non solo, a un "super-ristorante" (costoso ma non elitario, si deve ribadire), consente di cenare, ma anche di fare colazione (nel senso del petit déjuner, mentre "colazione" in italiano è termine semanticamente ambiguo), a un prezzo assolutamente modico, rispetto al "costoso" ristorante gemellato.
Che l'esperienza teatrale (includendovi musica e danza, ma anche una conferenza, per esempio, tenuta sul palco, come spesso avviene al "Sale") sia un medium caldo è acclarato: non occorre essere seguaci di Marshall Mc Luhan per saperlo...
Al Teatro del Sale, il calore è assicurato, al di là del singolo spettacolo. Questo non solo perché, chi più chi meno, ci si conosce (ma i tesserati sono ormai oltre quota ottomila, quindi è impossibile ritrovarsi tutti, sempre), per la qualità degli spettacoli, ma anche per la convivialità assicurata, appunto, dall'essere commensali, ma anche e soprattutto (c'è anche chi viene solo per gli spettacoli) dall'impatto che si crea, per la forza del presentatore Picchi, che la "sua" la dice sempre tutta, per intero e senza "mandarla a dire", anzi...
Poi c'è una koinè e una koinonia di ideali politici (che il "Teatro del Sale" sia sì sinistra, pur senza essere aggregata a un partito o a un movimento determinato), è arcinoto, tanto che non gli vengono risparmiati velenosi attacchi, da parte della stampa di centro-destra (in questo senso, in specie quest'anno, in alcune occasioni "topiche" si sono scatenati organi come "L'Opinione", nella cronaca di Firenze, ma anche, seppure con minore (?) intensità "La Nazione", sempre nella parte cittadina).
Humour, dissenso, ma appunto, convivialità e compartecipazione ("Guantanamera" ironicamente dedicata dal gruppo venezuelano-cubano-italiano a Berlusconi, "Comandante Che Guevara", ma anche la serata su Georges Brassens, con il pubblico co-cantante, ovviamente francofoni in primis), ma anche il ridere o al limite non ridere a certe battute, diventa sintomo e simbolo dell'accennata koinonia, altrimenti improponibile in un"teatro normale", già in crisi sia come struttura sia come concetto portante (prescindo qui da considerazioni specifiche).
Non credo si possa negare che in un quartiere ricco di culture ma anche di diversità (certo feconde) come S. Ambrogio, che presenta situazioni etniche e sociali estremamente differenziate, oltre all'accennata de-centralizzazione che non comporta l'essere"periferico", l'aver trovato un "collante", certo legato anche alla riconoscibilità (Picchi-Cibrèo, la moglie Maria Cassi-Aringa e Verdurini e non solo, come s'è detto) è cosa non da poco.
Stare assieme, sulle sedie o le poltrone non proprio da "Pergola", in un locale piccolo e a forte coibenza (caldo, talora ...), a stretto contatto con altri, potrebbe ingenerare una tendenza egotistica che in altre condizioni scatta, qui praticamente mai (a scanso di falsificazioni successive dell'affermazione, certo). Un'esperienza ben diversa, inutile negarlo, da quella del cliccare e"chattare", dalle (per esempio, da Pierre Levy) mitizzate "comunità virtuali", che poi invece si sfaldano al primo incontro pubblico, al primo confronto su qualcosa che non sia prettamente, esclusivamente la rete...
Eugen Galasso