Giovedì, 14 Febbraio 2013 19:32

Julia Kristeva: Benedetto XVI ha ridato speranza a un'Europa in crisi

Scritto da  Gerardo

A partire da questo intervento, proponiamo un trittico di interviste, che abbiamo ricevuto da  antichi amici, per il tramite di Vittorio Campanelli.
La prima è l'intervista di Daniele Zappalà a Julia Kristeva, poliedrica scrittrice, saggista, linguista e psicanalista francese di origine bulgara, fra gli intellettuali europei più citati e studiati nel mondo.




13 febbraio 2013
INTERVISTA
«Ha ridato speranza a un'Europa in crisi»

«Con Papa Benedetto XVI, si è aperta una nuova fase di buon augurio per l’avvenire dell’Europa e la pace nel mondo. E in queste ore di grande polarizzazione mediatica, penso che tutti siano sensibili al fatto che questo filosofo e quest’umanista è stato pure un grande politico. Il mondo rende oggi omaggio anche a un grande pacifista capace di accogliere la diversità planetaria».

Professoressa Kristeva, dalla sua sponda di non credente, come ha percepito in questi anni il pontificato di Benedetto XVI?
Benedetto XVI è un teologo e un filosofo. Anche per questo, si tratta di un grande europeo che con la sua opera ha dato speranza a un’Europa in crisi. Poiché l’Europa resta essenziale al mondo, è soprattutto attraverso la riunificazione filosofica dell’Europa che il Papa ha aiutato il mondo a orientarsi verso la pace. Ho avuto quest’impressione in modo molto netto ad Assisi, durante l’incontro-anniversario interreligioso del 2011, dove Benedetto XVI ha invitato per la prima volta in modo ufficiale un piccolo gruppo di non credenti, dandoci la parola. Abbiamo capito che si è chiuso il tempo del sospetto, del dubbio, dell’incertezza fra credenti e non credenti. Personalmente, quest’invito mi è parso una reiterazione della frase di Giovanni Paolo II: "Non abbiate paura". Questa frase aveva avuto un senso particolare per gli europei dell’Est perseguitati dal totalitarismo. Ma nel nuovo contesto, l’invito di Benedetto XVI aveva il senso: credenti e non credenti, non abbiate paura fra voi e cercate di comprendervi comunicando. Ciò mi pare indispensabile per l’esistenza dell’Europa e per pensare assieme le ferite dell’Europa. È un grande messaggio non solo per il prossimo Papa, ma anche per tutte le nuove generazioni di europei.

Cosa l’ha colpita di più nello stile personale di Benedetto XVI?
La sua grande discrezione e precisione. Durante il suo intervento ad Assisi, disse una frase che resterà per sempre impressa nella mia memoria, cioè che nessuno è proprietario della verità. Era inatteso da parte di un rappresentante religioso che, a priori, tende a pensare che la propria verità è l’unica. Ma questo Papa è stato un umanista e un filosofo. Si è rivolto a noi comprendendo che la verità cristiana non è per noi la verità, anche se forse soffriamo di ciò. Poi, si è come rettificato, osservando che la nostra verità è una forma di ricerca che apre delle domande. È una lotta interiore. E rivolgendosi ai credenti, ha chiesto loro di ascoltarci per poter così purificare la loro fede traendo ispirazione anche da noi. È qualcosa di assolutamente inaudito che mostra al contempo una grande profondità filosofica, grande umiltà e una grande scommessa sull’avvenire europeo nel senso di un incontro fra l’umanesimo cristiano e quello secolarizzato. Questo pontificato ha interpretato il bisogno di umanesimo dell’Europa e compreso che esso ha due polmoni. Contrariamente a quanto si è potuto dire, Benedetto XVI non è stato un Papa dogmatico nel senso chiuso del termine. Nei fondamenti del cattolicesimo, ha cercato ciò che è aperto, ciò che rappresenta un interrogativo, congiungendo simbolicamente sant’Agostino a Heidegger e Freud. La vita e il pensiero, dunque, come interrogativo e cammino.

Come ha accolto la notizia della rinuncia del Papa?
Resto sorpresa, quasi sbalordita. Non mi sento d’interpretare un simile gesto, dove l’umiltà del Papa e la complessità dell’attuale situazione della Chiesa si combinano probabilmente assieme ad altri elementi. Sarà l’avvenire a parlare. Ma da un punto di vista strettamente umano, mi sembra un atto pervaso di coraggio e saggezza.

Il pontificato si chiuderà nel pieno dell’Anno della Fede. Come percepisce questa corrispondenza, lei che ha dedicato pagine importanti al bisogno di credere?
La mia interpretazione del credere non coincide necessariamente con la fede cattolica in senso esplicito, ma s’interessa innanzitutto al fondamento antropologico di quest’esperienza. A mio avviso, questo fondamento riguarda la capacità d’investire l’altro e di riconoscerlo e di farsi riconoscere da lui, fin dall’infanzia. In questa chiave, la fede in senso largo che più mi ha personalmente colpito in Benedetto XVI è quella verso l’Europa secolarizzata.

La Deus caritas est, prima enciclica di Benedetto XVI, riguardava l’amore cristiano. Un atto di rinuncia può essere visto come un prolungamento e un coronamento di questo stesso amore?
L’enciclica mi era parsa un discorso molto filosofico e completo sull’amore cristiano, il quale non si limita alla carità, ma che attraversa anche la profondità del corpo, riconoscendo pure l’erotismo che viene evocato nell’enciclica. Ripeto che non mi sento di azzardare interpretazioni sulla rinuncia. Ma posso dire che nella fiducia che il Papa ha espresso nei confronti dell’umanesimo secolarizzato, vi è certamente pure un riconoscimento dei corpi viventi, di quelli senza fede, della singolarità di ogni esperienza. Anche ciò rientra nella tradizione cristiana che tutti dovrebbero rispettare.

Daniele Zappalà

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