Alberto Melloni, dalle pagine del “Corriere della Sera” dello scorso 26 ottobre, ricorda Pietro Scoppola.
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Alberto Melloni: Scoppola, l'etica come religione
Dal “Corriere della Sera” del 26 ottobre 2007
«La democrazia dei cristiani oggi coincide con la democrazia di tutti; in sostanza è un impegno a tener viva, anche con la fede, una speranza di democrazia per il nuovo millennio ». Finiva così l'intervista di Pietro Scoppola sul cattolicesimo politico dell'Italia unita uscita quasi due anni fa e
che sembra un epitaffio, posto a suggello d'una vita chiusasi ieri a Roma fra l'affetto dei suoi cari, dopo aver combattuto da cristiano, a mani nude, una lunga battaglia con la malattia.
Scoppola è stato non solo maestro di studiosi e studenti, ma una figura che ha lavorato intensamente per dare alla storia politica dei cattolici italiani una fondazione culturale che era per alcuni un vezzo surrogabile con l'anticomunismo o con l'integrismo. Una passione civile, borghese nel senso alto del termine, coltivata fin dalle prime apparizioni del suo nome sulle colonne delle «Cronache sociali» di Dossetti e nei «Quaderni di storia e cultura sociale» di Livorno. È del 1957 il suo libro («schiettamente divulgativo », dichiara l'understatement dell'autore) Dal neoguelfismo alla democrazia cristiana, che cerca e trova nei fallimenti di quelle generazioni che avevano sognato una via politica democratica per i cattolici le ragioni di una speranza.
Ascoltiamo quello Scoppola trentenne tirare le fila della utopia di Murri: «È così che le encicliche sociali dei papi e le affermazioni stesse del Vangelo, là dove indicano un ideale di fraternità e di carità, sono concepite come programma compiuto di partito da contrapporre a qualche altro partito; come se nell'azione politica le oneste intenzioni e i sani propositi morali potessero per sé soli attuare miracolose trasformazioni, senza una laboriosa e rischiosa opera di incarnazione nella realtà storica che tenga conto realisticamente delle sue leggi di sviluppo e delle forze che in essa operano».
Questa linea insieme storica e politica passa nel volume sulla crisi modernista e il rinnovamento cattolico (1961), per approdare dopo altri libri a Chiesa e fascismo del 1971. Libro antologico, ma capitale, di cui tutti speravamo che Scoppola potesse fare una riedizione ora che gli archivi di Pio XI s'erano aperti: perché nel nodo clerico-fascista, nell'illusione che una retorica moralistica potesse legare popolo e Stato egli intuiva una trappola di lungo periodo per un cattolicesimo culturalmente desertificato dall'antimodernismo.
Per questa via Scoppola arrivava agli studi su La proposta politica di De Gasperi (1977) e su Gli anni della Costituente fra politica e storia (1980): lo storico romano — nel frattempo espostosi politicamente a più riprese, senza ricevere in cambio nulla — confida che almeno la laica mediazione degasperiana profumi di futuro. Ancora una citazione: «I valori non possono essere maneggiati come un metro con cui misurare gli eventi dall'esterno: vanno scoperti dentro gli eventi stessi (...). Non credo giovi il rimpianto per momenti di libertà che non si sono compiutamente espressi o per alternative che non si sono realizzate. La comprensione critica di quello che è realmente accaduto, così come è accaduto, è ancora, forse la premessa migliore per una più ampia libertà nel presente». E fra le opzioni c'è quella de La «nuova cristianità » perduta (1985): lo studio dedicato al mito di una reconquista papale sconfitta dalla guerra, al di là della quale si proponeva intonso ai cattolici italiani il compito di far crescere la democrazia prima e più di qualsiasi punto confessionale.
Compito che Scoppola fece suo anche dalle colonne della Repubblica e che gli costò qualche diffidenza, diventata denigrazione sulle pagine dell'Avvenire nei lustri prima di Bagnasco.
Scoppola, però, non ha mai rinunciato all'idea che la comprensione dell'insieme della parabola storica dei cattolici in politica fosse l'unica premessa possibile e necessaria all'azione: e anche all'indomani del naufragio democristiano, con La repubblica dei partiti (1991 e 1997), è tornato a dire che la capacità del cattolicesimo di dare radicamento popolare ad una democrazia resa debole dalla sua origine costituiva un servizio al Paese e alla verità. Un servizio più forte perché storicamente più fondato della illusione di fare della Chiesa un sindacato dei valori (una «lobby » diceva nell'introduzione agli articoli recentissimamente raccolti in La coscienza e il potere) alla corte di qualche destra. Per Scoppola questa non è una posizione ideologica, ma il compito e il frutto del sapere storico. «Le occasioni perdute rimangono tali anche quando si sono capite e studiate. Ignorarle o rimuoverle è sempre la premessa di una irresistibile coazione a ripetere», scriveva meno d'un mese fa Scoppola. È la consegna di cui — non credo mi facciano velo la riconoscenza e l'amicizia — si sente già la mancanza.