Sabato, 16 Luglio 2005 21:29

Dentro la DC: Enrico Mattei, l’ultimo Zoli e Attilio Piccioni.

Scritto da  Gerardo

Con brevi tratteggi sulle figure di Enrico Mattei, Attilio Piccioni e Adone Zoli, prosegue la ricostruzione storica di Corrado Corghi.
Enrico Mattei

Dopo la rievocazione di personaggi DC che ho variamente conosciuto e incontrato, mi piace ricordare Mattei. Lo conobbi quando giunse all’improvviso alla segreteria regionale DC che aveva sede a Bologna in via Grabinski, per un colloquio con l’On. Segni che presiedeva la commissione delle candidature al Parlamento. Certamente Mattei nel paesaggio DC rappresentava una personalità eccezionale.
Nel febbraio 1953 aveva ottenuto l’approvazione della legge istitutiva dell’Eni e si era dimesso da deputato per presiedere il nuovo ente, l’Eni. Mattei ne farà una potenza sul piano internazionale avviando un grande conflitto con le compagnie petrolifere delle “Sette sorelle”.
Con una tenacia indescrivibile, già dimostrata nella Resistenza, con l’appoggio del ministro Vanoni e poi del ministro Bo, riuscì a trasformare la liquidazione dell’Agip in un ente di ricerca di idrocarburi.
Non fu un uomo di dottrina ma possedeva il senso del concreto. Anche nel mio incontro Mattei dimostrò chiarezza nella lettura dei problemi dell’Emilia Romagna: il partito doveva conoscere e far propria la ricerca nel sottosuolo regionale e proiettarsi nell’azione anticoloniale a favore dello sviluppo dei popoli poveri.
È importante il grande aiuto dato da Mattei alla lotta di liberazione dell’Algeria come io stesso ebbi modo di documentare durante la mia partecipazione all’incontro di solidarietà europea al libero popolo algerino ad Algeri. Mi chiese informazioni sui rapporti con il PCI in Emilia, sottolineando che era necessario non ghettizzare l’Est europeo, ma avviare trattative sul piano economico.

Nel 1953 era nata a Milano la corrente di sinistra DC “La Base”, con la mediazione di Martora, già vice comandante partigiano della “Di Dio” e vicinissimo a Mattei.
Il tema di fondo della nuova corrente era l’apertura a sinistra e la rottura del centrismo. Mattei vide che poteva ricevere maggiori appoggi dalle sinistre DC e da personaggi a lui affini come Fanfani e La Pira.
Nel contempo la sinistra di base sulla spinta di Mattei tenne a misurarsi a partire dalla concreta realtà. Nonostante tutto i più avveduti politci videro in Mattei la volontà di costruire un paese aperto al progresso, operando in un contesto globale.
Fu Mattei, peraltro, a salvare la Pignone di Firenze da una crisi profonda e ad aiutare il sindaco La Pira anche nei suoi incontri internazionali per la pace. Nel 1962 Mattei scomparirà a causa di un incidente aereo misterioso.


L’ultimo Zoli

Ci sono alcuni ricordi forti di Ziki. Innanzi tutto ricordo l’intervento nella qualità di presidente del partito, il 18 febbraio 1960.
Intervenendo sul milazzismo in Sicilia, fra l’altro disse: “Si è tentato da qualche parte di stabilire un parallelismo fra la collaborazione coi fascisti e la collaborazione coi socialisti. Questo parallelismo non regge. La collaborazione coi missini è contro tutti i deliberati del partito. Tutti sanno che io ho fatto un governo che ebbe i voti anche del MSI, ma tutti sanno come ho trattato quei voti. Non trattai con le destre, consapevole che la DC non può trattare con partiti totalitari. L’MSI è un partito totalitario perché al di là dei sottili distinguo, i missini restano fascisti, non importa della prima, della seconda o della terza maniera. Portare a conclusione l’operazione a destra in Sicilia vuol dire rinnegare i valori di fondo della DC. La verità è che si tende a cedere alla suggestione del potere offrendo pessime testimonianze ai giovani”.

Dalla Camilluccia scesi in auto con Zoli e arrivammo all’Hotel Minerva a due passi dal S. Chiara dove venne lanciato l’appello sturziano “ai libri e ai forte” nel 1919.
Si unirono a noi Donat Cattin e Granelli. Zoli approvò il nostro rifiuto a convalidare il documento conclusivo della seduta perché ritenuto ambiguo in mano ai dirigenti della DC siciliana.
Quella notte Zoli non aveva perduto il suo humor. Ci narrò che un giorno aveva voluto conoscere, da presidente del Consiglio dei Ministri, i vari ambienti del Vicinale. Ebbe la sorpresa di trovare all’interno un ufficio che si occupava dei “reduci di Adua(1896)”. È più facile fare leggi di riforma, disse che mutare la staticità della burocrazia!

Ci salutammo. Al mattino seguente vengo a sapere che all’alba Zoli era stato trasportato in clinica in condizioni gravissime. Dopo la morte lo accompagnammo a Predappio nella tomba posta a breve distanza da quella di Mussolini, la cui salma Zoli aveva restituito alla famiglia senza clamore.
Romagnolo, ma cittadino di Firenze, Adone Zoli era stato tre mesi nelle carceri fasciste come militante antifascista. Membro del comitato toscano della Resistenza, fu esponente del PPI e tenace assertore della sua aconfessionalità.
Con i fratelli Rosse, Salvemini e Calamadrei fondò un circolo di cultura politica che dovettero chiudere dopo il delitto Matteotti.
Senatore nel 1948, il suo esordio al Senato si caratterizzò per un intervento nel clima drammatico dell’attentato a Togliatti: “Io non credo che sia utile ricordare tutto quanto ci divide, preferisco ricordare quello che ci ha unito e ci avvicina”.


Attilio Piccioni

Non ricordo esattamente il giorno, ma mi sono trovato solo con Piccioni, alla Camilluccia, poco dopo essere stato eletto presidente del Consiglio nazionale della DC.
Se ne stava seduto, nella penombra, su una poltrona. Per la verità fino ad allora non c’era mai stata una qualche cordialità di rapporti anche per la sua dura opposizione a Dossetti durante il congresso di Venezia. Poi ero stato l’unico consigliere nazionale della DC, nel 1954, a chiedere le sue dimissioni da ministro degli esteri quando esplose “lo scandalo Monti” con i coinvolgimento del suo figlio Piero - che dimostrerà la sua innocenza.

Quel giorno alla Camilluccia, in attesa di Moro e di altri componenti la direzione, ben ricordando le mie origini emiliane e la mia partecipazione alla sinistra, come in un monologo mi disse: “Quando si è giovani si sta a sinistra, poi a 40 anni ci si avvicina al centro, ma quando gli anni avanzano non dispiace sentirsi conservatori”.
Il suo intervento era seguito all’avergli io ricordato la sua posizione a sinistra nel partito popolare, la sua attenzione al murrismo, anche per l’influenza del fratello Giovanni, al tempo vescovo di Livorno e i suoi incontri negli anni torinesi con Gramsci e Gobetti. Fu uomo di governo, anche se non riuscì a formarne uno suo nel 1953.
Come presidente del partito, succedendo al compianto Zoli, curò le relazioni interne con indiscussa autorevolezza.
Morì a 84 anni nel marzo 1976.
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