Venerdì, 12 Agosto 2005 20:35

Sul 18 aprile 1948 e dintorni

Scritto da  Gerardo

Conversando con Corrado Corghi
di Arnaldo Nesti (pubblicato sul bollettino “ASFeR News” n. 22-23 – gennaio-luglio 1998

In questi mesi (il riferimento è agli inizi del 1998 - NdW) la data del 18 aprile 1948 è diventata un riferimento celebrativo generalizzato, spesso senza alcun senso critico. Quello che è mancato specialmente all’interno del mondo cattolico è stato un riesame sul terreno squisitamente ecclesiale.
Si è tralasciato di riprendere osservazioni critiche che andranno sviluppando uomini come Mazzolari, Milani preoccupati come erano di non spezzare il rapporto fra chiesa e poveri e quindi di rendere credibile l'evangelizzazione. Ne abbiamo parlato con Corrado Corghi che in quel tempo era Presidente centrale dei Maestri di Azione Cattolica.
Lei in quel momento era presidente centrale dei Maestri di Azione Cattolica, quindi in una posizione privilegiata per osservare quanto accadeva intorno nel mondo cattolico. A suo parere quale fu la posizione di Dossetti prima e immediatamente dopo il voto dei 18 aprile?
Corghi
: Nella brevità dello spazio vorrei ricordare che la posizione di Dossetti fu di avversione nei confronti dei Comitati Civici, in generale, prima del 18 aprile.
Le ragioni? Prima di tutto perché vedeva nella confluenza di forze eterogenee intorno ai Comitati Civici un pericolo per l'autonomia e per l'azione pastorale della Chiesa.
In secondo luogo perché tali CC avrebbero falsato l'autonomia politica della DC e minacciavano di infrangere gli accordi circa il rapporto Stato-Chiesa. Vorrei ricordare che Dossetti si adoperò a fondo per la vittoria della DC, ma la sua prospettiva puntava su una vittoria della DC che non creasse le condizioni di rottura del dialogo fra le grandi forze popolari del nostro paese.
Immediatamente dopo il 18 aprile Dossetti invita De Gasperi a fare un governo di soli DC che siano in grado di rispondere alla fiducia elettorale ricevuta, per dimostrare quello che i cattolici erano capaci di fare nell'ambito dell’amministrazione dello Stato e nell'attuazione delle norme della Carta Costituzionale.

Come fu vista all'interno della stessa Azione Cattolica la decisione di Gedda di dar vita ai Comitati Civici?
Corghi
Ricordo quel 12 febbraio 1948. Eravamo in una riunione della presidenza generale con il presidente l'avv. Vittorino Veronese. Manca Gedda. Nella tarda mattina tutto bardato reduce da una udienza con Pio XII entra e annuncia che il S. Padre ha benedetto i Comitati Civici che saranno un movimento indipendente «pro aris et focis». I CC solleciteranno anche l'Azione Cattolica ad allinearsi alla grande battaglia contro il comunismo ateo. Collaboreranno. Seguirono alcuni attimi di silenzio e poi chiese di parlare G.B. Scaglia, presidente dei laureati di AC cui fecero seguito prima i presidenti della Fuci. Anch'io intervenni e mi posi sulle stesse posizioni di chi mi aveva preceduto in dissenso con Gedda. Diversa fu la posizione allora di Carlo Carretto, di Maria Badaloni. Il Presidente Veronese chiuse la riunione. Alcuni giorni dopo Scaglia, dopo essersi consigliato con Mons. Montini allora Sostituto della Segreteria di Stato, promuove un incontro sulla linea da tenere. Prepariamo un ampio documento che inviamo oltre che a Montini, al Card. Piazza e agli altri presuli membri della Commissione per l'Azione Cattolica. Fra gli altri ne facevano parte Bernareggi, Urbani, Mimmi, Pizzardo.
La situazione però va nella direzione voluta da Gedda. Infatti il 24 febbraio nella riunione della Commissione Episcopale dell'Azione Cattolica il Card. Pizzardo informa che il Papa lo aveva incaricato di dire alla Commissione che aveva affidato «tutto ciò che riguarda l'organizzazione e il funzionamento dei Comitati Civici al prof. Gedda e che perciò il card. Piazza e i vescovi presenti (Mimmi, Siri, Bernareggi, G. Gremigni, Lanza e Urbani), dovranno far capo in tutto e per tutto al prof. Gedda».

Ma come si arriva a questa situazione? È possibile rintracciare degli antecedenti?
Corghi
Certamente l'operazione ha i suoi precedenti. Occorre innanzi tutto tener conto della personalità di Gedda da sempre orientato a difendere un modello di Stato cattolico in senso confessionale. Per questo guardava con attenzione a modelli come quelli espressi in Portogallo da Salazar e in Spagna dal gen. Franco. (Sarebbe opportuno rileggere i suoi articoli sul settimanale della Gioventù di Azione cattolica al tempo in cui ne era il Presidente). Nell'immediato dopoguerra dopo quanto era avvenuto con la Resistenza e di fronte alla forte presenza del social-comunismo, sollecitato dal progressivo clima della guerra fredda (stimolato in modo particolare da ambienti statunitensi) si decide a proporre un grande fronte anticomunista guidato dalla Chiesa e dai cattolici. In quel momento la DC non gli appariva garantire la costruzione di un argine idoneo a sbarrare l'avanzata comunista. Questo disegno trovò la piena approvazione di Pio XII, come si può leggere nel recente libro dello stesso Gedda. Il disegno si andrà sviluppando. Immediatamente dopo il 18 aprile, commentando i risultati elettorali con Pio XII, si muove all’interno di uno strano incrocio di politica e religione. (Ritiene che ci sia la «presenza in Italia di circa 8 milioni di anticlericali» e di conseguenza la «responsabilità della DC, se non riesce a governare bene il paese, è gravissima» - Gedda). Di qui l'idea di «una commissione di vigilanza» che utilizza i CC come organo politico. Di qui i presupposti dell'Operazione Sturzo che sarà tentata per le elezioni di Roma, non molto tempo dopo.

Quali rapporti aveva con Gedda?
Corghi
Poco dopo la mia nomina a Presidente centrale del Movimento Maestri di Azione Cattolica, nell'ottobre 1946, (avvenuta su proposta di C. Carretto) Gedda e Carretto mi invitarono a far parte della Società operaia fondata da Gedda nel 1942, di cui già faceva parte Emilio Colombo allora vice presidente della GIAC. Non dissi di no. Partecipai ad un incontro al Centro Getsemani a Casale Corte Cerro (Novara), ma non ne rimasi persuaso. Ne parlai con Lazzati. Lui reagì in senso negativo perché, mi disse, l'utilizzo di un gruppo religioso per un'attività di potere anche se all'interno dell'Azione Cattolica, era di per sé una forma di eresia. In un incontro conviviale con Gedda, qualche tempo dopo, gli dissi la mia condivisione della linea ecclesiale in cui si muoveva il gruppo di Dossetti, Lazzati e La Pira. Dopo di allora cessò ogni tipo di dialogo.

Vorrei chiederle una sua reazione nei confronti del recente libro di Gedda sul 18 aprile 1948. (Mondadori, Milano 1998). A me pare che il libro sia un prezioso documento per ricostruire un momento nevralgico del cattolicesimo italiano. Il libro è ricco di informazioni sui rapporti Gedda-Pio XII. Mi pare tuttavia altrettanto ricco di rimozioni. In particolare non parla del pontificato di Paolo VI, anzi anche di Mons. Montini parla pochissimo e per di più in senso negativo. Sfiora il papato di Giovanni XXIII. II Concilio Vaticano II pare un evento inesistente. L'autore è ancorato all'esclusivo modello di Chiesa incarnato da Papa Pacelli. Mi piacerebbe entrare nei particolari. Spero di avere un'altra sede per parlarne adeguatamente. Adesso le sarei grato se Lei volesse esprimere alcune valutazioni.
Corghi
Leggendo attentamente il volume, tengo a precisare che mi ha colpito l'egocentrismo esasperato dell'Autore. I colloqui con Pio XII sono presentati quasi che il Papa fosse in subordine di fronte a Gedda. Sono meravigliato che né la Sala Stampa, né gli ambienti vaticani siano intervenuti per rimarcare la personalità di Pio XII nella sua alta autonomia. Ho notato inoltre, accanto alle molte informazioni e ai documenti che presenta, una notevole quantità di errori circa fatti e persone. A modo di esempio si voglia prendere in considerazione la descrizione che fa delle mie dimissioni da presidente centrale dei Maestri di A.C. E tralascio il fatto che mi chiama Mino e non Corrado.
Gedda scrive che nell'udienza del 12 marzo 1948 parla al Papa della crisi interna «in seguito alla quale il presidente Corghi, in contrasto con la Badaloni, si è dimesso ed è stato sostituito dal prof. Giorcelli. I fatti andarono in modo assai diverso. In primo luogo delle mie proposte di dimissioni nel marzo parlai, in via riservata, con Mons. Montini e col presidente avv. Veronese (come è noto le dimissioni dovevano essere presentate direttamente al Papa). Ambedue mi invitarono, in primo luogo a recedere, comunque, a non darle subito ma, semmai, dopo le elezioni del 18 aprile per evitare strumentalizzazioni inopportune sulla stampa. Accettai l'invito e alla metà del giugno, mi recai in udienza da Pio XII e allora presentai le dimissioni. Mi fece una «paterna resistenza». Gli confermai le mie riserve a) nei confronti delle posizioni di Gedda, b) la non chiarezza istituzionale fra il Movimento maestri di A.C. e l'AIMC (Associazione italiana maestri cattolici).
Mi fermo qui perché, al di là della mia modesta vicenda, si dovrebbe riprecisare una quantità di informazioni scorrette nei confronti di Mario Rossi, presidente GIAC dopo Carretto e su D. Arturo Paoli allora vice assistente centrale della GIAC.
Ma non posso non reagire, e con vigore, di fronte alla ripetuta accusa a Mons. Guano e a Mons. Costa, figure fra le più significative della Fuci e dei Laureati Cattolici e fra le più vicine a Mons Montini, di aver provocato con la loro «pseudo riforma» (Gedda) la fine dell'Azione Cattolica con i nuovi statuti dell'Azione Cattolica da loro proposti (1953) in contrasto con la linea geddiana.
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