Martedì, 24 Gennaio 2012 17:22

Lettere dalla fine del mondo. I. Elogio dell'America Latina

Scritto da  Gerardo

Con questa lettera speriamo di poter interessare i nostri lettori sul senso e il destino dell'America latina oggi.
Il nostro amico Giuseppe Picone, viaggiatore instancabile, da pochi giorni ha iniziato un nuovo viaggio, dopo l'Amazonia, verso la Patagonia.
Grazie e auguri a Pino. Che la penna non ti manchi e in particolar modo che il cuore... non si stanchi. Ojalà, Pino! (A. N. )


Lettere dalla fine del mondo.

I. Elogio dell'America Latina


L'italiano (ma anche europeo) scolarizzato, magari colto (per forza di cose, avendo fatto il liceo classico), si caratterizzava fino a poco tempo fa, per tenere la testa volta sempre dietro di sé. Soprattutto da un certo punto in poi della sua vita. Diciamo dopo i trenta o quarant'anni. Dopo aver smaltito l'odio provato a "maturità classica" acquisita, contro il nozionismo che aveva esacerbato la sua vita di studente.
Il suo amore per la Grecia e per Roma antica aveva cominciato a lievitare. Era corso in soffitta a tirare fuori i libri del liceo, quelli ancora leggibili e decenti. Nella sua biblioteca erano aumentati a dismisura i palchetti dello scaffale dedicato ai classici. Sublimava la crisi di identità (tipica e ricorrente nell'italiano moderno) con un voluttuoso sprofondamento in quel mondo passato.
Aveva incontrato sulla sua strada numerosi classicisti suoi coetanei (o, meraviglia delle meraviglie, anche più giovani) che riuscivano a dare una lettura di quei testi in chiave sorprendentemente moderna, magari coadiuvati da robusti occhiali antropologici e sociologici. Magari gettati e centrifugati in una cultura più materiale che letteraria. Ma questo continuare a voltarsi indietro gli aveva procurato un fastidioso "torcicollo". E presto era riaffiorata la crisi. Beninteso il mondo classico era sempre là. Quei testi continuava a compulsarli e grande restava il piacere di intrattenere rapporti con essi. Così, alla luce del sole, senza la necessità di tramutarsi in Proserpina e calarsi in un sepolcrale ipogeo.
Ma la insoddisfazione riaffiorava. Ne usciva fuori, tutto sommato, una operazione solipsistica, al limite narcisistica. Ed ecco che per caso fa un viaggio in una terra lontana. Una terra sconvolta (chissà perché si continua a dire "scoperta") cinque secoli fa da quegli stessi europei che come lui si erano imbevuti di testi classici. I quali solo da poco tempo avevano abbandonato la lingua dei romani come lingua ufficiale! Non a caso questa terra si chiama comunemente America Latina. Questi europei rasero al suolo le civiltà che vi si erano sviluppate in precedenza; avevano massacrato le popolazioni ivi residenti da sempre; avevano imposto la loro cultura, lingua e religione. Insomma una storia ben nota. Tanto nota da sembrare "naturale", quando si parla di America Latina.
Ebbene, nel momento in cui il nostro si affaccia a questo mondo, le cose stanno radicalmente cambiando. I popoli latino-americani discendenti da quella storia atroce, hanno iniziato a riprendere in mano il proprio destino. Hanno iniziato a uscire da quello che veniva chiamato "sottosviluppo" (il termine spagnolo che lo traduce, "subdesarollo", ha una chiarissima matrice latina!). Hanno iniziato a costruire una cultura propria, una filosofia propria.
I viaggi del nostro si intensificarono. L'ultimo si sta svolgendo adesso, in Argentina. Meglio sarebbe dire Patagonia e Terra del Fuoco. Ed è da lì che cercherà di inviarvi alcune brevi note. Sempre se avete la compiacenza di leggerle. In quelle terre c'è un concentrato delle cose che, velocemente, abbiamo cecato di dirvi nella parte finale di questa lettera.

Giuseppe Picone

Buenos Aires, 22 gennaio 2012

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