Domenica, 03 Settembre 2006 14:02

Prossima uscita editoriale

Scritto da  Gerardo

In questo settembre, uscirà il volume di Arnaldo Nesti dal titolo Quale la religione degli italiani? Religioni civili, mondo cattolico, ateismo devoto, fede, laicità.

Pubblichiamo qui di seguito la Introduzione di Marco Politi, giornalista di Repubblica.
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Affrontare, come Arnaldo Nesti in questa sua raccolta di saggi, la questione del “religioso” in Italia significa entrare in un labirinto tra i più affascinanti e intricati. Perché in nessun paese del mondo occidentale una presenza del sacro così straripante si accompagna in maniera altrettanto evidente ad una religiosità fai-da-te, testardamente impermeabile ad ogni tentativo di rigorosa disciplina di condotta. Silvio Berlusconi – sia detto senza nessuna critica di tipo personale – ne è l’icona perfetta. Sposato, divorziato, risposato (dunque in stato di peccato permanente per il magistero papale corrente) ha guidato un governo ed una maggioranza, che si sono fatti un punto d’onore nel recepire sistematicamente i desiderata della gerarchia ecclesiastica, soprattutto in settori di rilevanza cosiddetta etica come l’opposizione al divorzio breve o la legislazione restrittiva sulla fecondazione artificiale, mentre da presidente del Consiglio ha altrettanto sistematicamente propagandato il suo attaccamento alla religione, citando spesso la zia suora e facendo sapere a tutti che fa regolarmente la comunione. Cosa espressamente vietata dalla dottrina cattolica ufficiale, da papi e prefetti del Sant’Uffizio.
In questo scindere condotta politica e scelte private, nell’esibire pratiche di culto e nel contemporaneo regolarsi secondo il proprio sentire anche aggirando divieti formali, Berlusconi si identifica assolutamente con quei milioni di italiani, che compongono – statisticamente parlando – la stranota maggioranza cattolica (più o meno l’87 per cento). Milioni di “fedeli”, che confessandosi o meno, anzi confessandosi pochissimo, vivono il credo religioso secondo la loro particolarissima interpretazione. E neanche male, se guardiamo alla ricchezza di iniziative nel campo sociale, culturale, assistenziale in corso nel nostro paese e riconducibili ad una ispirazione religiosa cristiana.
Sia detto per inciso, come connotazione sociologica: il cattolico tedesco Helmut Kohl, già cancelliere, si è rivolto ufficialmente a Giovanni Paolo II esortandolo a rivedere la norma, che proibisce ai cattolici divorziati e risposati di accostarsi all’eucaristia. Un gesto pubblico di assunzione di responsabilità come credente e come cittadino.
Un gesto che non è nemmeno possibile immaginare compiuto dal premier Berlusconi, in questo veramente espressione del cattolico italiano medio. Va aggiunto, per completare la descrizione delle due facce della medaglia, che anche i supremi vertici della gerarchia ecclesiastica, così rigorosi nel condannare piccoli preti di rione per la loro disobbedienza, non hanno mai detto la benché minima parola di biasimo per la pubblica ed esibita contravvenzione ad un divieto, peraltro riproposto insistentemente dai pulpiti vaticani anno per anno.
Di fronte al trionfo della scelta individuale, tranquillamente incardinata nell’ossequio alle norme ufficiali, di fronte ad una soggettività di comportamenti così radicata e diffusa, come meravigliarsi allora del fatto che mai in Italia si sia arrivati alla fondazione di un’autentica “religione civile”? E’ il tema del saggio portante di questo libro, ricerca penetrante che ci riporta ad un’analisi delle caratteristiche della società italiana – o forse sarebbe meglio dire al plurale delle società che convivono nel nostro paese – che va ben al di là della materia puramente religiosa.
C’è da chiedersi, infatti, se la mancanza di una religione civile, per cui si sono affannati in varie ondate gli esponenti del liberalismo laico, del repubblicanesimo mazziniano, del fascismo e del socialismo, non sia riconducibile in ultima istanza all’assenza in Italia di un’autentica religiosità vissuta conseguenzialmente e senza soluzioni di continuità tra sfera privata e sfera pubblica. Un fenomeno, rispetto al quale categorie come doppia morale o perdonismo cattolico mi sembrano largamente insufficienti. No, qui si tratta – come emerge da tante suggestioni che affiorano dalle pagine del libro – di un individualismo profondamente radicato nella nostra cultura, un individualismo unito a disincanto, intimo relativismo, e – perché no? – desiderio di trovare un legame tutto proprio e privato con il divino, magari modellato a propria immagine e somiglianza.
La stessa Chiesa cattolica, in fondo, ha fatto poco per combattere e superare questo tratto nazionale. Lo nota acutamente lo storico cattolico Giovanni Miccoli, quando scrive: «Lo spazio al quale aspira l’istituzione ecclesiastica è appunto uno spazio che non mira a sostanziali mutamenti nella vita delle società, ma ad un’egemonia ideologica e ad un controllo intellettuale ed emotivo che, per potersi affermare, non deve andare al di là di una sfera del sentire individuale ed emotivo, disancorata dalla pratica quotidiana dei rapporti di classe e di potere. È una dissociazione decisiva nella storia civile della società italiana perché propone, forse per la prima volta con piena consapevolezza, quello schema di netta divaricazione tra coscienza e sentire individuali e attività sociale e pubblica, che costituisce indubbiamente un carattere di rilievo nella storia degli atteggiamenti dominanti».
Schematizzando, si potrebbe dire che l’Italia non ha una religione civile né tutta laica, come per due secoli l’ha avuta la Francia, né liberal-patriottico-religiosa, com’è diffusa negli Stati Uniti, perché in ultima istanza non ha avuto nemmeno una religione compatta nel suo intreccio tra pubblico e privato come ad esempio la Germania luterana (che nella sua militanza di fede ha stimolato in tal senso anche la Germania cattolica).
Da questo punto di vista l’irrompere della secolarizzazione e del soggettivismo religioso, che in Occidente si accompagna agli stessi fenomeni di revival religioso, non fa fatica ad inserirsi nell’alveo secolare dell’individualismo religioso italiano (a parte l’emergere di gruppi maggiormente identitari, intransigenti, militanti e a volte tendenzialmente fondamentalisti). Da tempo Arnaldo Nesti ha rilevato che ciò che in altri secoli era l’universo religioso, strutturato ordinatamente per zone geografiche (l’Europa e le Americhe ai cristiani, il Maghreb, il Medio Oriente, parte di Asia e Africa nera ai musulmani, l’India agli induisti e ai buddisti e così via) si è trasformato nell’era della globalizzazione in un multiverso, in cui varie forme di appartenenza religiosa attraversano a strisce un’identica nazione e persino quella che è (apparentemente) un’identica religione.
Di questo multiverso l’Italia è, sotto la superficie cattolica, un laboratorio vivente su cui eventi come il Giubileo o lo stesso vigoroso impatto del pontificato wojtyliano intervengono come polline che feconda parti del campo, ma non mutano mai la sostanza e la composizione del terreno, che persiste ad essere variegato.
In questa prospettiva anche il fenomeno dell’“ateismo devoto” o del teo-conservatorismo, che vede spezzoni di ceto politico e mediatico tentare freneticamente di allearsi con la Chiesa cattolica per inventare una nuova religione civile cristianista e occidentalista, appare all’osservatore disincantato come un fremito elitario destinato a sciogliersi nel mare dei Sargassi italiano. Poco più di una di quelle processioni campestri in onore della Madonna, «con spari e mortaretti», che si vedevano nel Sud del secolo passato.
Vero è che sul piano politico proprio la dissociazione tra interessi concreti e prassi religiosa privata ha portato nell’ultima decade ad una forte invadenza della gerarchia cattolica nei confronti delle istituzioni e del processo legislativo. Qui si pone, nella sua pregnanza, il problema della laicità della sfera istituzionale: una questione che tocca sia credenti che diversamente credenti, egualmente preoccupati del risorgere di pulsioni fondamentaliste che deformerebbero il carattere plurireligioso e multiculturale della nostra società.
E tuttavia, anche nell’affrontare questi temi, sarebbe sbagliato arretrare a concezioni ispirate ad un vecchio anti-clericalismo. La religione, ci ricorda Nesti, è diventata più che mai nel XXI secolo una potente risorsa culturale, una riserva di senso esistenziale con cui fare i conti, senza mai cadere nella tentazione di semplificazioni o schematismi che appiattiscono la complessità. Inutile verniciare la pelle del leopardo di un colore solo. Le “macchie” delle tante credenze e correnti filosofiche che contrassegnano il manto della società contemporanea ci sono e sono di molte forme e di molti significati. Vale la pena, allora, esplorare queste pagine e lasciarsi stimolare dalla contraddittorietà delle situazioni.

MARCO POLITI
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