Mercoledì, 06 Aprile 2016 19:45

Incontro con l’arcivescovo cubano, Card. Ortega

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Il Direttore di Asfer/Cisreco, Arnaldo Nesti, durante il suo recente viaggio a Cuba, ha incontrato l’importante esponente della chiesa cubana. Ne riportiamo un’intervista, curata dal prof. Nesti, nella quale si leggono riferimenti al prossimo numero di Religioni e Società e… non solamente a questo.

 

Durante le mie giornate cubane, appena arrivato, la guida che mi ha accompagnato dall’aeroporto all’albergo, mi ha proposto la possibilità di poter incontrare il Card. Ortega, arcivescovo di Avana.

Mi è apparso un po’ ambizioso metterlo in programma. Pochi giorni dopo, però, dopo aver avviato le interviste con vari studiosi cubani, sulla situazione politico-religiosa della Cuba di oggi, la guida iniziale ( che si è poi presentata come un’animatrice cubana del gruppo di S. Egidio, la dr.ssa Innaris Suarez), mi ha detto che il cardinale mi avrebbe ricevuto prima di chiudere la mia prima parte del soggiorno, mercoledì 10 dicembre, nel pomeriggio. Puntualmente alle 15,30 mi sono recato in arcivescovado, una bella residenza in stile coloniale, nel centro della città vecchia. Tutto ha funzionato. L’incontro è stato simpatico, con un cardinale affabile.

Gli ho spiegato le ragioni del mio soggiorno cubano e subito gli ho posto domande su come vedeva le prospettive politico-religiose a Cuba. Ero ancora abbastanza digiuno e non possedevo molte informazioni sulla situazione cubana.

Il cardinale con molta schiettezza mi ha fatto capire che preferiva evitare previsioni, troppo labili, e invece stare ai fatti e su quanto riteneva, e a ragione, avendolo potuto conoscere direttamente.

Entrato nel suo studio, il cardinale mi fa accomodare. “Lei sta è seduto dove si trovava, pochi giorni fa stava lo stesso papa nella sua recente visita qui a Cuba". Si cominciala conversazione. Con grande mia sorpresa mi parla di “Jorge!”. “È stato a lungo” come mi dice confidenzialmente. Poi mi introduce in un racconto… affascinante.

“Tengo a dirle quanto ho avuto modo di raccontare nell'omelia della messa crismale celebrata sabato 23 marzo nella cattedrale, alla presenza del nunzio apostolico, l’arcivescovo Bruno Musarò, dei vescovi ausiliari Alfredo Petit e Juan de Dios Hernandez, e del clero della diocesi.

Il cardinale Ortega mi racconta che dopo l'intervento di Bergoglio nel preconclave, si era avvicinato a lui chiedendogli se aveva un testo scritto da poter conservare.

Bergoglio rispose che al momento non l’aveva. Ma il giorno dopo – ha raccontato Ortega – "con delicatezza estrema" gli consegnò "l’intervento scritto di suo pugno tale come lo ricordava".

Ortega gli chiese se poteva diffondere il testo e Bergoglio disse di sì.

Il cardinale dell’Avana rinnovò la richiesta il 13 marzo dopo la fine del conclave, quando l’arcivescovo di Buenos Aires era stato eletto alla cattedra di Pietro. E papa Francesco rinnovò la sua autorizzazione.

Così il 26 marzo la fotocopia del manoscritto di Bergoglio e la sua trascrizione in spagnolo sono apparse nel sito web di "Palabra Nueva", la rivista dell’arcidiocesi dell'Avana. In tale scritto si riconoscono alcuni tratti ricorrenti nella sua iniziale predicazione da papa. La "mondanità spirituale" come "il male peggiore della Chiesa". Il dovere della Chiesa di "uscire da se stessa" per evangelizzare le "periferie non solo geografiche ma esistenziali".

Come già in altre occasioni, anche qui Bergoglio riprende l'espressione "mondanità spirituale" dal gesuita Henri De Lubac, uno dei più grandi teologi del Novecento, fatto cardinale in tarda età da Giovanni Paolo II.

Nel suo libro "Meditazioni sulla Chiesa", De Lubac definisce la mondanità spirituale "il pericolo maggiore, la tentazione più perfida, quella che sempre rinasce insidiosamente quando tutte le altre sono state vinte, alimentata anzi da queste stesse vittoria".

E prosegue: "Se questa mondanità spirituale invadesse la Chiesa e operasse per corromperla attaccandola nella sua stessa origine, sarebbe infinitamente più disastrosa di qualsiasi altra mondanità semplicemente morale. Ancora peggio della lebbra infame che, in certi momenti della storia, sfigurò così crudelmente la Sposa amata [la Chiesa - ndr], quando la fregagione sembrava collocare lo scandalo nel suo stesso santuario e, rappresentata da un papa libertino, occultava il volto di Cristo sotto pietre preziose, belletti e spie… Un umanesimo sottile nemico del Dio vivente – e, in segreto, non meno nemico dell'uomo – può stabilirsi in noi attraverso mille sotterfugi".

Questa citazione di De Lubac è in evidenza in un articolo che l'allora semplice gesuita Bergoglio scrisse nel 1991, ripubblicò e consegnò nel 2005 ai fedeli e ai cittadini di Buenos Aires, di cui era divenuto arcivescovo, e ora ricompare nel primo dei libri stampati in Italia con i testi del nuovo papa antecedenti la sua elezione, col titolo: "Guarire dalla corruzione".

Un'altra citazione significativa dell'appunto di Bergoglio è là dove addita i pericoli della Chiesa quando cessa di essere "mysterium lunae".

Il "mistero della luna" è una formula a cui i Padri della Chiesa ricorrono fin dal II secolo per suggerire quale sia la vera natura della Chiesa e l'agire che le conviene: Come la luna, "la Chiesa splende non di luce propria, ma di quella di Cristo" ("fulget Ecclesia non suo sed Christi lumine"), dice sant’Ambrogio. Mentre per Cirillo d’Alessandria "la Chiesa è circonfusa dalla luce divina di Cristo, che è l’unica luce nel regno delle anime. C’è dunque una sola luce: in quest’unica luce splende tuttavia anche la Chiesa, che non è però Cristo stesso".

Su questo tema e col titolo di "Mysterium lunae" ha scritto un libro fondamentale nel 1939 un altro gesuita, Hugo Rahner, insigne patrologo.

“La Chiesa, quando è autoreferenziale, senza rendersene conto, crede di avere luce propria; smette di essere il "mysterium lunae" e dà luogo a quel male così grave che è la mondanità spirituale (secondo De Lubac, il male peggiore in cui può incorrere la Chiesa): quel vivere per darsi gloria gli uni con gli altri. Semplificando, ci sono due immagini di Chiesa: la Chiesa evangelizzatrice che esce da se stessa; quella del "Dei Verbum religiose audiens et fidenter proclamans" [la Chiesa che religiosamente ascolta e fedelmente proclama la Parola di Dio - ndr], o la Chiesa mondana che vive in sé, da sé, per sé. Questo deve illuminare i possibili cambiamenti e riforme da realizzare per la salvezza delle anime.

Pensando al prossimo Papa: un uomo che, attraverso la contemplazione di Gesù Cristo e l’adorazione di Gesù Cristo, aiuti la Chiesa a uscire da se stessa verso le periferie esistenziali, che la aiuti a essere la madre feconda che vive "della dolce e confortante gioia dell’evangelizzare".

L'incontro con il cardinale mi ha consentito di venire a conoscenza di un episodio di grande valore. La conversazione è poi proseguita parlando di persone di comune conoscenza. Infine, passate due ore, mi sono congedato. Uscendo dal palazzo, già cominciava a scendere la sera.

Grazie Eminenza.

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