Incontro con Frei Betto
Siena, 18 maggio 2016
L’America Latina sta ritornando ad interessare e nel contempo a preoccupare quelli che un tempo si chiamavano (e ci chiamavamo) “sinceri democratici”. Le ultime preoccupanti notizie ci giungono dal Brasile, con la messa in stato di accusa e relativo esautoramento del legittimo presidente Dilma Rousseff. Lo spiega succintamente e con molta precisione la parte finale della scheda che riportiamo integralmente:
“Il 3 dicembre 2015, la Camera dei Deputati ha intrapreso la procedura di messa in stato d'accusa della Rousseff, formalizzata con la votazione del 17 aprile 2016, 367 sì e 137 no, autorizzando il successivo passaggio al Senato, per l'accusa di aver truccato i dati sul deficit di bilancio annuale. Dopo mesi di incertezza politica e la perdita dell'appoggio di cruciali partiti alleati in Parlamento, il 12 maggio 2016 il Senato, 55 contro 22, ha votato la sospensione dalla carica di Presidente della Rousseff (prevista dalla Costituzione brasiliana per 180 giorni). Intanto, al Senato federale si aprirà ora il procedimento di messa in stato d'accusa, ancora non calendarizzato. Le funzioni di presidente sono nel frattempo assunte dal vice, Michel Temer”.
È il terzo esautoramento di legittimo presidente di uno stato in America Latina. Si era iniziato alla chetichella in Honduras con la defenestrazione di Manuel Zelaya Rosales il 28 giugno 2009. In quel caso fu la Corte Costituzionale la longa manus della restaurazione golpista (o paragolpista, se vogliamo contentare le anime belle di sempre). Nel 2012 toccò a Fernando Lugo, legittimo presidente del Paraguay, eletto quattro anni prima da un frente amplio progressista, ad essere dimesso con argomenti risibili, da un senato corrotto dalle oligarchie locali e dallo zampino a stelle e strisce. Forse fra giorni, settimane, mesi sarà la volta del Venezuela. E tralasciamo altri piccoli episodi nei quali è chiaro il segno di un cambiamento di direzione. Insomma la ventata progressista che era soffiata sull’America Latina negli ultimi venti anni sembra ferma se non addirittura prendere una marcia contraria.
Della questione ha parlato Frei Betto nelle ultime settimane in una serie di incontri tenuti in sedi universitarie, associative, religiose dal Trentino al centro Italia. Il vostro cronista ha avuto la fortuna di ascoltarlo in viva voce e di persona a Siena qualche giorno fa presso il Complesso Didattico Mattioli, ospite del Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università. Incontro in realtà voluto fortemente da varie associazioni senesi, fra le quali la attivissima “Amici del Guatemala”, capitanata da Athos Turchi, confratello domenicano di Frei Betto.
Il titolo dell’incontro “Teologia della Liberazione e sostenibilità”. Frei Betto è protagonista di primo piano dell’anima progressista latinoamericana. Fin da quando a 25 anni, giovanissimo teologo domenicano, lottando contro la dittatura militare brasiliana fu incarcerato e torturato (la stessa sorte aveva subito Dilma Rousseff: mai dimenticarlo!). Nel 2006 Lula lo chiamerà a far parte del suo governo affidandogli il programma “Fome zero” (fame zero). Detto per inciso: un programma che dal 2002 ad oggi con i governi di Lula e Dilma ha portato fuori dalla povertà ben 45 milioni di brasiliani.
Le ragioni della crisi dei governi progressisti sono senza dubbio ascrivibili in gran parte a ragioni esterne. Frei Betto non ha parlato di imperialismo, ma è indubbio che la globalizzazione in America Latina ha significato un aggiornamento delle politiche di rapina e di condizionamento da parte della economia e della finanza internazionale.
Non c’è dubbio che anche i governi progressisti hanno le loro colpe. Essenzialmente due:
- non aver sfruttato il momento favorevole della economia mondiale quando le materie prime prodotte da Brasile, Venezuela, ecc. avevano un mercato redditizio per i produttori. I proventi di quel mercato non sono stati usati in maniera oculata per risolvere i problemi di base di questi stati, ma si sono persi in politiche favorevoli al consumismo;
- mancata alfabetizzazione alla politica dei ceti sociali che sostenevano quei governi: su questo punto Frei Betto ha insistito molto. Imperdonabile per le forze politiche progressiste rinunciare alla educazione politica delle masse e puntare sul leaderismo.
A questi due punti in realtà Frei Betto ne aggiunge un terzo: la mancata comprensione della forza rivoluzionaria delle idee ambientaliste. Qui fa ampia autocritica di pari passo con un sincero elogio postumo di Chico Mendes, cristiano, rivoluzionario e martire, richiamando anche le cose importanti propugnate da Leonardo Boff sull’ecoteologia. Così come ritiene fondamentale e rivoluzionaria l’enciclica “Laudato si’” di papa Francesco.
Per andare ancora più a fondo del pensiero di Frei Betto, pubblichiamo insieme a questa nota una intervista che il nostro ha concesso a Claudia Fanti della Agenzia Adista il 25 maggio scorso.
A noi non resta che fare partecipe il lettore della emozione provata nell’ascoltare un uomo saggio, un uomo di fede che ha teorizzato e praticato la teologia della liberazione non nel chiuso di una chiesa o di una università ma nel cuore delle lotte popolari, desacralizzando e rendendo fuoco vivo al tempo stesso marxismo e cattolicesimo.
Giuseppe Picone, 27 maggio 2016
Intervista di Claudia Fanti a Frei Betto