Riparazioni di Settembre 1 - Portfolio ragionato Modena 2017
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Gli organizzatori, al solito, hanno dato le cifre della partecipazione a questo fenomeno culturale unico in Europa: le presenze sono state circa 170mila, oltre 90mila per le lezioni magistrali e più di 70mila per il programma creativo.
"Verità" il tema scelto per la 18esima edizione, dal 14 al 16 settembre 2018.
In questo esame di riparazione abbiamo voluto iniziare dal fondo. Ma già da giovedì 14 settembre il vostro inviato non dall’Avana, ma da San Gimignano, gironzolava per questa bella e placida città all’ombra di una fiammeggiante Ghirlandina, da poco ripulita dalle sozzure di questo nostro evo inquinato. Il tempo nuvoloso e la mano malferma del vostro fotografo non impediscono di ammirare la giustamente celebrata bianchezza di tutto il complesso architettonico. La foto [img 1] è stata scattata di mattina e quindi la piazza si presentava non ingombra delle migliaia di sedie che come per incanto sono apparse al crepuscolo, trasformando la stessa da luogo sacro e civile ad agorà filosofica.
Nella stessa piazza intorno alle nove del giorno dopo, tutti erano pronti ad ascoltare la prima lezione di Ivano Dionigi sul De Rerum Natura di Lucrezio [img 2].
Come è noto il tema conduttore di questa edizione era “Le Arti”. L’ex Rettore della più antica Università italiana (l’Alma Mater Studiorum di Bologna), coerentemente al tema, dei 7000 versi della grande opera lucreziana, ha analizzato i versi 330-337 del V° libro: in quei versi Lucrezio esalta il ruolo dell’uomo di fronte alla natura di per sé à-tecnos. Come è noto “Lucrezio nega ogni sorta di creazione, di provvidenza e di beatitudine originaria e afferma che l'uomo si è affrancato dalla condizione di bisogno tramite la produzione di tecniche, che sono trasposizioni della natura”. Ma d’altra parte l’uomo non è il centro dell’universo. Fedele alla dottrina epicurea non può esistere un centro perché l’universo è infinito.
Un altro testo fondamentale della cultura occidentale ove il nesso fra tecnica, saperi scientifici e visione filosofica del mondo trova una delle sue più alte manifestazioni è il “Sidereus Nuncius” di Galileo Galilei apparso a Venezia il 13 marzo 1610. Paolo Galluzzi proveniente da una fervidissima tradizione di studi ove una solida conoscenza storica si coniuga con una puntuale e filologica investigazione dei testi che ha per oggetto la storia delle idee (ci riferiamo alla scuola fiorentina di Eugenio Garin e di Paolo Rossi) ne ha tratteggiato la genesi, la fortuna e la posizione centrale in quella che è passata alla storia come rivoluzione copernicana.
Galluzzi inoltre ha messo in luce come Galileo non fu solo un artifex ma anche un artista. Ne sono testimonianza i bellissimi disegni che accompagnavano la pubblicazione. D’altra parte non ha taciuto né poteva farlo lo sconquasso che l’opera creò fra i guardiani della fede. Le conseguenze che ne ebbe a subire il nostro scienziato sono ben note [img 3].
La lezione seguente che il vostro inviato ha potuto seguire trattava della “Estetizzazione” tenuta da Gilles Lipovetsky dell’Università di Grenoble. Il sottotitolo della lezione: “L’epoca del capitalismo-artista” dice molto del contenuto. Lungi dall’essere un ossimoro “capitalismo-artista” da l’idea di come i prodotti industriali hanno via via ceduto la loro appetibilità intrinseca a favore dell’aspetto. Non si compra più il prodotto ma l’involucro ben confezionato da scuole agguerrite e sempre più potenti di designers. Ma lo stesso vale anche per altri aspetti della vita quotidiana degli abitatori dell’età capitalistica [img 4 e 5].
Abbiamo voluto mettere l’una accanto all’altra un momento della lezione di Lipovetsky e una immagine del bellissimo cimitero di San Cataldo (cimitero storico della città di Modena nella parte progettata da Aldo Rossi). E ci siamo chiesti ammirandone la struggente bellezza se non avessimo per caso davanti agli occhi un caso di estetizzazione (a rischio di essere tacciati di blasfemia) financo della morte.
Il Festival ha avuto anche le sue star. Fra le tante abbiamo seguito le lezioni di Massimo Recalcati [img 6]. Peraltro una convincente e affascinante lettura dell’opera di Claudio Parmiggiani: genius loci (Luzzara il suo paese natio si trova precisamente a metà strada tra Reggio e Modena), uno dei massimi artisti italiani viventi ove si incontrano e fondono innanzitutto l’opera del suo maestro Giorgio Morandi con l’arte concettuale e l’arte povera. Prima del nostro si sono occupati dell’opera di Parmiggiani storici dell’arte e filosofi del calibro di Jean Clair e Jean- Luc Nancy.
Ancora: Umberto Galimberti [img 7]. Presenza costante al festival. D’altra parte ben 6000 persone hanno seguito la performance del nostro nella sterminata Piazza Martiri di Carpi. Ascoltarlo comunque è sempre una bella esperienza. Il tema dell’ “Homo faber” ben si confà alla teoria generale che supporta l’opera del filosofo: la scienza subornata alla tecnica. L’homo faber che nasce dopo, supera e soppianta l’homo sapiens. La religione cristiana è anche lei fortemente intrisa e assoggettata alla scienza/tecnica. Galimberti ha ricordato il tonante “Dominerai” biblico di Genesi 1, 28.
Ma il Festival si distingue anche per una certa polifonia di voci. Ed alle obiezioni di Galimberti a Genesi 1,28, ha risposto indirettamente Enzo Bianchi [img 8] (questa volta nella Piazza Grande di Modena a chiusura ufficiale della diciassettesima edizione) facendo una analisi testuale direttamente dal testo ebraico dei primissimi capitoli del libro della Genesi e soffermandosi a lungo sul “Dominerai” ne ha dato una lettura opposta. Non dominio e sfruttamento dell’uomo sulla terra ma cura e responsabilità degli abitatori del pianeta verso la madre terra. Va da sé che è noto quale delle due interpretazioni sia stata adottata nel corso dei secoli dalle varie famiglie del cristianesimo.
Altra presenza consueta al Festival è quella di Emanuele Severino [img 9], attorno al quale si stringe sempre un pubblico riverente e devoto. Qui allo spirito dell’agorà (siamo sempre a Modena in Piazza Grande) si unisce anche una sorta di sentimento filiale quale quello che una tribù riunita attorno al grande albero del villaggio prova nell’ ascoltare il più anziano e il più saggio dei suoi abitanti. Anche Severino ha parlato della tecnica e del rovesciamento tra mezzi e fini operato nei suoi confronti nel lungo viaggio della prassi e del pensiero umano da Parmenide ad oggi. In questo rovesciamento proprio la filosofia negli ultimi due secoli ha detto alla tecnica: “Corri, non ci sono limiti alla tua corsa!”. Così essa è andata oltre l’ottenuto. La tecnica è diventata l’ultimo Dio. Ma anche quello della tecnica è un tempo limitato. Nel frattempo la luce del crepuscolo si era fatta sempre più flebile sulla piazza quasi a sottolineare una sorta di tramonto non solo atmosferico. Ci ha pensato la discussione con il pubblico a sgomberare il campo da tale sensazione. Ad una domanda che sottolineava questa sorta di certificazione del declino della nostra civiltà, la voce ferma del grande saggio ha risposto che no. Proprio per il fatto che anche la tecnica ha un tempo limitato, questa constatazione apre una avveduta, cauta, prudente ma sicura fede nel divenire e quindi nel nostro avvenire.
Fra i 20 volti nuovi su un totale di 52 relatori quello più conosciuto era senz’altro quello di Luciano Canfora [img 10]. L’argomento: le arti sceniche. In particolare “Scena. Il teatro e la città”. Non poteva essere altrimenti dato che le ultime fatiche dell’insigne filologo e storico hanno avuto come protagonista assoluto Aristofane e il suo teatro. Canfora ha parlato del teatro politico e prima di giungere ad Aristofane si è soffermato su altri esempi di teatro politico in particolare quello di Erwin Piscator e di Bertold Brecht ma con accenni anche al teatro dei gesuiti nel periodo della Controriforma e della fioritura teatrale nella Rivoluzione Francese. Giungendo ad Aristofane, Canfora ha sottolineato la grande funzione civile e politica del teatro greco classico sia nel versante tragico che in quello comico. Aristofane come tutti gli autori comici fanno politica stando all’opposizione in quel crucialissimo periodo della storia di Atene che va dalla guerra contro Sparta alla rovinosa caduta del 404 ed usa la parabasi delle sue commedie per fare i suoi proclami politici come nelle Rane attaccando frontalmente il democratico Cleofonte chiedendone la testa. Come puntualmente accadrà. Ma alla domanda che Canfora pone a sé stesso e al pubblico se il teatro è lotta (versante Piscator) o se sia arte (versante Brecht) il nostro non esita a schierarsi per questo ultimo.
I pochi lettori di queste note che annualmente dedichiamo al Festival si domanderanno se la ricerca di una novella Diotima è andata a buon porto in questa edizione. Ebbene la Diotima di questa edizione veste i panni dell’antropologa e si chiama Agnès Giard [img 11], francese della Bretagna, dall’aria vagamente orientale, scrittrice e giornalista (tiene un fortunatissimo blog su Libération dal titolo al tempo stesso evocativo ed emblematico: Les 400 culs) oltre che antropologa di professione, ricercatrice affiliata al Sophiapol, Laboratorio di analisi socio-antropologica dell’Università Nanterre di Parigi. Ultimamente si è occupata intensamente della cultura giapponese e il tema della sua lezione “Bambole. Artificiali più che umane” ci porta al Giappone e alle Ai Doru/Bambole d’amore. Agnès Giard ha fatto un excursus storico del fenomeno che in Giappone coinvolge una infima minoranza di adulti single, ma che negli Stati Uniti sta assumendo un carattere più corposo. Con differenze fondamentali: mentre negli USA le bambole sessuali stanno assumendo sempre di più un carattere di valvola di sfogo della frustrazione sessuale maschile, in Giappone la pratica delle bambole è più appannaggio degli esperti del mondo virtuale e richiama espressamente il fenomeno Otaku. Mentre le bambole in voga in Occidente (ma ultimamente anche in Cina) assumono un atteggiamento e forme esplicitamente versate al porno e si coniugano volentieri con la robotica, in Giappone le bambole artificiali sono sempre più regredite a forme adolescenziali quando non infantili. In breve Agnès Giard usa gli strumenti dell’antropologo culturale per porre gli uomini che studia nella loro situazione affettiva, umana e sociale cercando di analizzarne desideri e tendenze per il superamento della loro condizione di crisi.
Con un omaggio a Michelina Borsari [img 12], Signora Filosofia come è stata chiamata, anima da sempre del Festival e al pubblico in attesa [img 13] dell’ultima lezione serotina di Piazza Grande, diamo l’arrivederci alla prossima edizione.
Giuseppe Picone – San Gimignano, 29 settembre 2017