Venerdì, 08 Dicembre 2017 21:33

TFF 35. Un rendiconto

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Di ritorno dal Torino Film Festival, Giuseppe Picone ha pensato di condividere la sua esperienza sul grande evento. E un paio di belle foto.

Non c’è dubbio che alla Giuria di “Torino 35”, la sezione concorso del Torino Film Festival 2017, capitanata dal regista cileno Pablo Lorraìn, sia molto piaciuto Al Tishkechi Oti / Don’t Forget Me del regista israeliano Ram Nehari. La Giuria di Pablo Lorraìn, comprendente nella cinquina nomi importanti come lo scrittore greco Petros Markaris e la nostra Isabella Ragonese (bella e versatile: attrice soprattutto ma anche saggista, drammaturga e regista teatrale di grandissimo talento), deve essere rimasta affascinata dalla storia di due giovani inquieti alle prese con l’anoressia lei e con disturbi mentali lui, vaganti per una Tel Aviv notturna alla ricerca di un reale “ubi consistam” che non siano le rispettive case di cura o la allucinante abitazione borghese di lei: esilarante e tragicomica la discussione che si svolge fra i due giovani e il di lei padre autoritario e limpidamente stupido e la madre ortolessica persa. I veri matti sono gli adulti. Amen. Tanto è piaciuto il film ai nostri giudici che hanno consegnato loro gran parte del palmarès: Migliore Film, Miglior Attore (Nitai Gvirtz), Migliore Attrice (Moon Shavit).

Anche a chi scrive è piaciuto il film premiatissimo, ma avrebbe dato il premio come migliore film a Daphne dell’inglese Peter Mackie Burns. Ci è sembrata una opera più matura, compatta e completa. Meno divertente sicuramente, ma più profonda e tragica. Anche qui c’è una ragazza trentunenne ma con il volto di bambina che girovaga, sballottata fra goodbar e incontri sessuali casuali, per una Londra piatta, livellata, anonima e noiosa più che tentacolare. Ben più complessi e articolati sono i paesaggi interiori e i demoni che la opprimono. L’attrice Emily Beecham, cui la Giuria ha assegnato in ex-aequo il premio come Migliore Attrice, dà corpo, sensibilità e profondità ad una disperata ricerca di felicità e quiete in un mondo banale e insensatamente crudele.

Per restare nella sezione principale, giusti riconoscimenti sono stati dati a A fàbrica de nada del portoghese Pedro Pinho (Premio Fondazione Re Rebaudengo). Un film sul mondo del lavoro in un paese come il Portogallo dove la crisi ha colpito duramente quel settore che era un tempo il perno del sistema produttivo capitalistico: la fabbrica, la quale oggi si barcamena fra automazione e globalizzazione. Così come una menzione speciale della Giuria e il Premio Cipputi sono giustamente stati assegnati a Lorello e Brunello di Jacopo Quadri. Dalla fabbrica si passa alla campagna. Ma resta la connotazione di una crisi profonda. Protagonisti del film una coppia di anziani gemelli pastori e contadini in una scarna quanto affascinante campagna della Maremma toscana, i quali con consapevolezza e caparbietà resistono all’oblio e alla rimozione di quel mondo da dove proviene il nostro principale sostentamento. Jacopo Quadri lo fa con l’occhio dell’antropologo e con un linguaggio filmico che ci ha ricordato un altro suo bellissimo film passato al TFF di qualche anno fa: La scuola estiva. Lì il protagonista era un Luca Ronconi (proprio lui il grande regista teatrale) consapevole della propria età avanzata e della malattia inesorabile ed al tempo stesso caparbio maestro di generazioni di gente di teatro.

Altra segnalazione importante per Kiss and Cry delle francesi Chloé Mahieu e Lila Pinell (Miglior Sceneggiatura e Menzione Speciale della Giuria). Un esile film su un gruppo di ragazzine adolescenti alle prese con le draconiane leggi dello sport competitivo (in questo caso il pattinaggio artistico). Completano il ricchissimo palmarès della sezione principale (nella quale, secondo il nostro modesto parere, 4/5 film non meritavano di essere ammessi al concorso) il premio del pubblico a A’ voix haute del francese Stephane de Freitas, un avvincente documentario su un concorso di Eloquentia presso la Università di Saint Denis: anche qui i giovani sono assoluti protagonisti come da sempre al Torino Film Festival e il premio FIPRESCI (Federazione Internazionale della Stampa Cinematografica)) a The Death of Stalin dell’inglese Armando Iannucci. Film satirico, ma non tanto, sulla morte di Stalin e le convulse vicende che ne connotarono la successione. Iannucci parla di “commedia dell’isteria” ma cadenzata da una scia di sangue e crudeltà assortite in perfetta continuità con lo stile staliniano.

Un discorso a parte meriterebbe la sezione “Festa Mobile” (come del resto tutte le altre sezioni non contemplate in questo rendiconto) che si sforza di raccogliere il meglio della recente cinematografia mondiale di qualità. Ma lo spazio ce lo impedisce. Per fortuna molti dei film presenti nella sezione sono già in programmazione nelle sale cinematografiche italiane o si apprestano ad esserlo. Ricordiamo (a mo’ di assaggio) alcuni titoli: Seven Sisters con Noomi Rapace (film sopravvalutato), Amori che non sanno stare al mondo di Francesca Comencini (con una prova attoriale superlativa di Lucia Mascino e Thomas Trabacchi), Smetto quando voglio: ad honorem di Sidney Sibilia (la terza parte della saga della banda dei ricercatori), Final Portrait di Stanley Tucci (divertente e bel ritratto di Alberto Giacometti vicino alla morte ma pieno di vita ed in continua ricerca di soluzioni artistiche che lo soddisfino). Ci fermiamo qui.

P.S.: E la religione?  Nei 28 film visti dei 170 programmati nel Festival il mondo che viene rappresentato sembra completamente desacralizzato. Se non andiamo errati sono in tre film c’è un richiamo indiretto alle religioni: nel già menzionato Daphne quando la protagonista si convince finalmente a soddisfare la madre morente recandosi ad una cerimonia vagamente buddista; in Blue Kids dell’italiano Andrea Tagliaferri (uno dei peggiori film proposti nella sezione concorso): la coppia di fratelli diabolici ruba goffamente degli oggetti sacri in una sacrestia e partecipano alla cerimonia religiosa dei funerali della odiata madre; infine Tesnota/Closeness del giovanissimo regista russo Kantemir Balagov: una comunità ebraica agli albori degli sconvolgimenti interetnici e interreligiosi di quella esplosiva zona comprendente Cecenia, Inguscezia e Circassia dopo lo sfaldamento dell’impero sovietico e con il relativo perpetuo antisemitismo.

Giuseppe Picone

San Gimignano, 6 dicembre 2017

 

A seguire, la foto dell’entrata del Cinema Classico in Piazza Vittorio Veneto, a Torino, e una veduta della piazza.

 

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