Lettera di Arnaldo Nesti a Sua santità Kirill, Patriarca di Mosca e di tutte le Russie
Santità,
alla fine degli anni Novanta ebbi il privilegio di incontrarLa a Torino durante un convegno promosso dalla Fondazione Agnelli. Lei era presente in qualità di presidente del Dipartimento dei rapporti esteri del Patriarcato di Mosca. Partecipava ad un panel su “La nuova Russia. Dibattito culturale e modello di società in costruzione - Una radiografia del dibattito culturale della Russia che illustra i tanti problemi con cui si deve confrontare la costruzione di una nuova società. Modernizzazione, tradizionalismo, nuovo corporativismo, privatizzazioni, nazionalismo e religione sono solo alcuni degli elementi che compongono un quadro ricco di conflittualità e foriero di grandi trasformazioni”.
Sfogliando i miei appunti, trovo che partecipavano con Lei Ilja Levin, Guerman Diliguenski, Mikhail Afanasjev, Alexeij Zudin, Sergei Peregudov, Vadim Radaev, Vladimir Mau, Irina Starodubrovskaja, Viktor Studentsov, Igor Pantin, Vladimir Kolossov, Petr Fedossov, Innokentij P. Pavlov, Andrei B. Zubov, Sergei Filatov.
Un grande evento allora! Per me, modesto sociologo, un’occasione formidabile per capire la realtà russa in trasformazione. Allora ebbi modo di scoprire un grande vescovo: Kirill!
Adesso? Che dramma!
Mi perdoni se mi permetto di dirLe, ormai da vecchio docente dell’Università di Firenze, ma, tengo a sottolineare, da modestissimo smarrito cristiano, che sono rimasto recentemente turbato nell’apprendere che incontrando l’arcivescovo Giovanni D’Aniello, nunzio apostolico presso la Federazione Russa (che cercava di conoscere i canali di dialogo), Lei, Santità, non ha ritenuto di assumere una posizione netta sulla guerra in Ucraina, a differenza della Chiesa Ortodossa Ucraina, guidata dal Metropolita Onufrij di Kiev, che si è espressa con chiarezza sul conflitto. Addirittura, ci sono diocesi russo-ortodosse in Ucraina, come Lei certamente saprà, che hanno smesso di pronunciare il nome di Kirill nella sinassi, con un gesto che equivale a un disconoscimento di autorità.
Ho letto un Suo testo in cui identificava il conflitto in corso come una lotta del bene contro la promozione dei modelli di vita peccaminosi e contrari alla fede cristiana portati avanti dall’Occidente. Esempio lampante: il gay pride. Lei ha ritenuto di articolare in chiave “geopolitica” l’analisi della guerra. Infatti, scrive nella lettera di risposta al segretario del WCC (Consiglio mondiale delle Chiese) che «gli Stati membri della Nato hanno rafforzato la loro presenza militare, ignorando le preoccupazioni della Russia che queste armi un giorno potessero essere usate contro di essa». Ora invece quel conflitto sarebbe diventato parte di una strategia volta, «in primo luogo, a indebolire la Russia». Le forze politiche occidentali, infatti, nella Sua lettura, hanno lavorato in questi anni per «rendere nemici popoli fraterni» senza risparmiare «sforzi e fondi per inondare l’Ucraina di armi e istruttori di guerra».
Mi consenta, Santità, ripensando a quella stagione in cui ebbi il piacere di incontrarLa a Torino, nel 1998, di confessarLe che non avrei mai pensato che la Chiesa ortodossa russa diventasse, sotto la sua energica guida, uno dei principali alleati e sostenitori del governo russo e, in particolare, della sua propaganda patriottica ottenendo in cambio il riconoscimento di uno status privilegiato.
Come fu sotto Stalin e durante la II guerra mondiale, la Chiesa ortodossa è arrivata a svolgere un ruolo centrale nella reinterpretazione della memoria storica che, a partire dalla riabilitazione degli zar, presenta la rivoluzione del 1917 come «una tragedia nazionale russa» e investe di simbolismo religioso i lager staliniani.
Nell’attuale situazione, dunque, non solo non ha chiesto esplicitamente la fine delle operazioni militari, ma ha anche sostanzialmente avallato le giustificazioni storiche e ideologiche usate da Putin. Lo so che Lei, come si può ricavare dalla lunga lettera al WCC, tende a difendersi, giungendo però a sostenere che oggi «la cosa più terribile non sono le armi, ma il tentativo di “rieducare”, di trasformare mentalmente gli ucraini e i russi» con la nascita della Chiesa ortodossa autocefala ucraina, riconosciuta da Bartolomeo di Costantinopoli con il conseguente scisma ecclesiastico del 2018 e la rottura dei rapporti con Mosca. Che peccato!
Riandando alle giornate piene di speranza ecumenica trascorse anni fa presso la Fondazione Agnelli a Torino, sappia, Santità, se un giorno potessimo ricontrarci, che io, oggi, sono un anonimo cristiano schierato con il gruppo di coloro che definiscono la guerra un fratricidio e che, soprattutto, si scandalizzano che Lei continui a benedire la guerra di Putin.
Non mi permetto assolutamente di volerLe insegnare alcunché, non mi permetto di dissacrare il valore della sua liturgia con o senza incenso. Mi permetto però, forse sbagliando, di chiederLe come si possa benedire armi fratricide quando si predica ciò che sta scritto, scritto senza se e senza ma: “Beati gli operatori di pace”?
Perdoni lo sfogo di un vecchietto “mondanizzato” cresciuto nella terra di… Savonarola e Galileo!
Mi creda, la ricordo, con deferenza e affetto.
Prof. Arnaldo Nesti, direttore di “Religioni e Società”
Firenze, aprile 2022