Per quanto mi riguarda conobbi Enrico ancora ai tempi delle attività della Venetian Academy of Indian Studies (fondata da Gian Giuseppe Filippi), di cui Enrico era assiduo frequentatore. Ricordo con piacere il silenzio rapito che calava quando lui raccontava le storie degli indiani d’America. Ma a latere dell’attività accademica, lo ricordiamo anche per la buona compagnia: Enrico non si tirava certo mai indietro quand’era il momento di festeggiare, di fronte a un buon bicchiere o indulgere in attività più ludiche.
Credo di poter dire a nome di tutto il gruppo veneziano di studi di indianistica che Enrico era una persona veramente gradita a tutti, con mente aperta, pieno di sano entusiasmo e curiosità. Sul piano professionale abbiamo apprezzato la sua originalità, profondità e il fatto che non fosse mai sazio di sapere. Questo giustifica il suo sforzo, compiuto in virtù di una ricerca a tutto tondo nell’antropologia delle religioni, di una prospettiva comparativa che ci ha portato addirittura a divagare dagli indiani d’America agli indiani del Sud Asia.
È questo l’Enrico che vogliamo ricordare per il suo esempio e la strada che ha tracciato; domani in occasione di una videoconferenza per la presentazione di un libro lo ricorderemo anche a Ca’ Foscari. Non mi resta che chiudere con un messaggio che proprio ora mi giunge commosso da uno studente del gruppo di antropologia: “Rimpiangerò sempre di non aver conosciuto chi ha portato in Italia la vastità delle Praterie”.
Un abbraccio a te e a tutti i colleghi e un ultimo saluto a Enrico:
Fai buon viaggio, caro amico,
Sit tibi terra levis!
So long, brother!
Stefano Beggiora