Mercoledì, 24 Maggio 2017 16:55

L'Ogdoade nell'architettura medievale

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Giovanni a Patmos rivive la sua visione sullo schermo celeste, in sintonia con la disciplina astrologica. Scrutando il cielo, gli antichi erano soliti pensare che vi si potesse scorgere l’immagine della Vergine con, subito al di sotto, quella di un mitico drago, l’Hydra. Il Serpente acquatico che derivava il nome dal mostro eptacefalo dimorante nella palude di Lerna. Il drago combattuto e ucciso da Eracle in una delle famose «fatiche».

 

Ogdoade

Questo e altro si legge nel mio articoletto pubblicato a p. 12 della rivista «Pigmenti Cultura», periodico dell’Associazione Culturale e del Paesaggio “Renzo Aiolfi” (Savona).

Il tema di base è come l'architettura medievale abbia riciclato il tema dell'Ogdoade , all'origine meta del raggiungimento, da parte delle Anime, della vetta celeste ove alberga la «Madre lucente».

In un libro perduto, la Symphōnia, utilizzato dagli gnostici Arcontici, si parlava di una Ogdoade celeste (ogdoada tina legousin einai ouranōn) e di una Ebdomade planetaria nella quale risiedevano sette Arconti, uno per ogni cielo (hepta ouranous), e ogni Arconte possedeva una «legione», (taxis) di Potenze celesti. Infine, nell’ottavo cielo, più in alto di tutti (anōtatō[i] en tō[i] ogdoō[i] einai) stava la Mētēr he phōteinē, la «Madre lucente» (Epiph. Pan. haer.40, 2, 3).

 

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