Giovedì, 23 Novembre 2017 10:42

Religioni e Società. Anticipazione sul prossimo numero

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Abbiamo il piacere di anticipare l’editoriale di Arnaldo Nesti, che aprirà il n. 89 della rivista quadrimestrale di scienze sociali della religione, Religioni e Società, edita da Fabrizio Serra editore (Pisa - Roma). 

Sul V° centenario della Riforma protestante e del suo impatto sulla storia del protestantesimo e del mondo moderno

L’editoriale di Arnaldo Nesti

Questo numero della nostra rivista avverte la complessità dei problemi che pone la Riforma protestante e tiene subito a dichiarare che non ha altra ambizione se non quella di stimolare i lettori a cercare lumi al riguardo ben al di là del nostro modesto contributo.

Il luteranesimo prevede un diverso approccio delle Sacre Scritture rispetto alla Chiesa cattolica, nel senso che le dottrine della Chiesa si basano solamente su quanto scritto nella Bibbia. Nel periodo medievale, come è noto, la morte era continuamente in agguato e per l'uomo del tempo la preoccupazione principale era come salvare la propria anima. Anche Lutero ebbe tale preoccupazione e la superò elaborando sulla sua esperienza la teoria della giustificazione per fede, ossia in pratica l'uomo può salvare la sua anima avendo fede in Gesù Cristo e negando valore salvifico alle opere buone.

Altro punto della Riforma protestante era la lettura diretta delle Sacre Scritture. Lutero notava che al suo tempo i preti non erano preparati dal punto di vista teologico e molti di essi si limitavano a recitare, non senza imperfezioni, frasi in latino. Al popolo era preclusa qualsiasi interpretazione delle Sacre Scritture, essendo queste lette in latino dal sacerdote e da quest'ultimo spiegate al popolo. Lutero provvide a tradurre la Bibbia dall'ebraico e dal greco al tedesco. Sebbene non fosse il primo (esistevano numerose traduzioni cattoliche in tedesco prima di Lutero), la sua versione della Bibbia fu la più importante in lingua tedesca. In merito all'eucaristia - che Lutero chiamava heilige Abendmahl (traducibile come "Santa Cena [del Signore]") nel Liber Concordiae - egli negava la transustanziazione come trasformazione di pane e vino in corpo e sangue di Cristo continuando però ad affermare la presenza reale di Gesù Cristo, ma insieme al pane e al vino, secondo la teoria da lui definita Sacramentliche Einigkeit (unione sacramentale) e nota, soprattutto tra non luterani, come consustanziazione. In merito al Servizio divino, la cui liturgia era celebrata nella lingua del popolo ma parzialmente anche in latino, non vi è uniformità di vedute da parte degli altri protestanti.

La Riforma negò che ci potessero essere altri intermediari tra l'uomo e Dio al di fuori di Gesù Cristo. Ne consegue il rifiuto dell'invocazione dei Santi, di Maria, e del ruolo intercessore della Chiesa.

Le dottrine della chiesa devono essere verificate dalle Sacre Scritture: non sono più necessari intermediari per la salvezza, viene quindi ridimensionata la gerarchia ecclesiastica. Restano come sacramenti il battesimo e l'eucaristia, nella quale si riafferma la presenza reale ma si nega (o si riduce a opinione privata) la transustanziazione; viene mantenuta parzialmente anche la confessione. Gli altri sacramenti tradizionali, come il matrimonio o l'ordine sacro non sono aboliti ma considerati riti ecclesiastici.

Il concetto di “chiesa”, come potente organizzazione mondana, inserita a tutto tondo nella politica, coinvolta e implicata in scandali e comportamenti esecrabili, secondo Lutero avrebbe dovuto scomparire per lasciar posto a semplici “comunità di credenti”. Di questa interpretazione della Scrittura Lutero era così convinto che senza eccezioni ha tradotto in tutto il Nuovo Testamento la parola εκκλεσια con Gemeinde (= comunità, ossia un “insieme di persone con eguali interessi”) e non con Kirche.

La riforma spiega come il cristianesimo non possa avere per capo una persona, avendo come unico capo Gesù Cristo. Per Lutero i capisaldi dottrinali sono (Sola Gratia, Sola Fides, Solus Christus, Sola Scriptura). L’accentuazione della centralità della Scrittura deriva dal fatto che è considerata l’unica autorità dottrinale normativa al di sopra di ogni autorità terrena, e l’affermazione del sacerdozio universale dei credenti. Molte saranno le conseguenze che ne derivano. In questa sede mi piace rinviare ad un denso ma suggestivo scritto di Franco Ferrarotti.

Moltissime sono le implicazioni che derivano, fra le molte mi piace sottolineare quanto scrive a p. 61 Ferrarotti:

«L’atteggiamento luterano non si esaurisce in un panverbismo, non è interno al sistema che critica, ha la forza della parola che si fa riforma, azione: muove come la fede, le montagne della prassi».

Mi è capitato di assistere ad un culto per l’inaugurazione della mostra sulla Riforma radicale a Firenze, nell’ambito delle celebrazioni del V° centenario della Riforma luterana. Ho ascoltato con molta attenzione il sermone, in una chiesa valdese, del pastore officiante di una diversa denominazione.

«Oggi la collaborazione e la comunione tra le chiese evangeliche è tale, ha detto, che non si fa caso delle generalizzazioni della comunicazione, per le quali saremmo tutti erede dell’unico capostipite, l’Abramo del protestantesimo, che è stato Martin Lutero».

La verità è che, pur riferendoci tutti al famoso gesto delle 95 tesi come data convenzionale di inizio della Riforma, la Riforma è nata plurale ed ha avuto più padri (Lutero, Zwingli, Calvino, Knox ecc.). Non solo ma era stata preceduta da altre Riforme di cui la più nota, riferendoci alle nostre latitudini è quella Valdese. Ma qui vogliamo riferirci alla Riforma radicale, riportando all’attenzione una storia più sconosciuta rispetto a quella della riforma plurale. Va subito detto che la riforma radicale si poneva in termini dialettici nei confronti della prima. Il radicalesimo è stata un’esperienza così trasversale nei vari territori che non è interamente possibile inquadrarla nella fede evangelica. Infatti, le caratteristiche della riforma radicale evangelica erano il battesimo dei credenti, la netta separazione fra Chiesa e Stato, il rifiuto della violenza e delle armi.

In generale perseguivano una più netta e rapida decattolicizzazione della fede evangelica. Infine i principi della riforma radicale hanno influenzato in maniera importante i movimenti di risveglio che, nei secoli successivi, hanno dato origine a diverse delle denominazioni oggi esistenti.

«Le differenze, ha sottolineato il pastore officiante, sono il prezzo della libertà di coscienza e sono volute dallo Spirito Santo, che ci rende diversi e rende diverse le esperienze, in modo che nessun credente o chiesa possa credere di essere sufficiente a se stessa e ignorare la responsabilità del dialogo e della comunione con le altre chiese. No alle divisioni, ma sì alle differenze. No a fare delle differenze un motivo di conflitto e separazione, ma sì alle differenze che sono la base di un dialogo fruttuoso e costruttivo ed un baluardo contro ogni tentazione di supremazia e di potere!».

Il V° centenario dell’affissione delle tesi (un evento quasi certamente mai avvenuto) mi è sembrato un’occasione per ripensare anche la storia e il contributo della Riforma radicale dalla quale, nonostante la violenta opposizione dei riformatori “ufficiali” e della chiesa cattolica, sono derivati forti impulsi all’affermazione delle più rilevanti conquiste della civiltà europea: la tolleranza, la libertà religiosa e di coscienza, la laicità delle istituzioni pubbliche, i diritti dell’uomo. Purtroppo, nonostante l’opera di Ugo Gastaldi (Storia dell’anabattismo, 2 voll., 1972 – 1981 Torino), è ancora prevalente un’immagine distorta della Riforma radicale, derivata da due correnti storiografiche.

La prima ha origine negli scritti polemici dei principali riformatori contro gli anabattisti. La rappresentazione che influì maggiormente sulla diffusione di un’immagine negativa degli anabattisti nel mondo protestante si trova negli scritti di Heinrich Bullinger (1504 – 1575), successore di Zwingli alla guida della Riforma a Zurigo e “architetto” della chiesa riformata. Bullinger faceva appello alle autorità secolari affinché liberassero la Confederazione da questa eresia usando ogni mezzo, anche le esecuzioni pubbliche. Bullinger raccolse i suoi scritti precedenti contro gli anabattisti nel volume L’origine, crescita e sette degli anabattisti (Der Wiedertäufferen Ursprung, Fürgang, Sekten, Zurigo 1560), nel quale collegò la “piaga anabattista” al tradimento e alla sedizione, tracciando una linea di derivazione diretta dell’anabattismo dalla guerra dei contadini e dal “regno anabattista” di Münster.

Gli scritti dei riformatori e dei polemisti cattolici hanno esercitato per secoli un’enorme influenza sul giudizio negativo nei confronti della Riforma radicale e, in particolare, degli anabattisti che ha iniziato ad essere seriamente riesaminato soltanto dalle ricerche su fonti archivistiche di fine Ottocento

La seconda risale a uno dei teorici del comunismo, Friedrich Engels (1820-95), che nel suo famoso libro sulla guerra dei contadini in Germania del 1524-25, scritto dopo il fallimento delle rivoluzioni europee del 1848, esaltò la “magnifica figura di Thomas Müntzer” (1489-1525), primo “martire della rivoluzione comunista”, contrapponendolo a Lutero, che “aveva tradito il movimento popolare” diventando un “servo dei principi” (Fürstenknecht) e un “macellaio dei contadini” (Bauernschlächter). L’interpretazione di Engels era stata fortemente influenzata dallo storico hegeliano Wilhelm Zimmermann, che per primo presentò Müntzer come una figura rivoluzionaria in uno studio approfondito della guerra dei contadini (Der grosse deutsche Bauernkrieg, Stuttgart 1841-43). Quest’immagine di Müntzer fu ripresa da studiosi marxisti come August Bebel (1840-1913), Franz Mehring (1846-1919) e Karl Kautsky (1854-1918) che riabilitarono la figura di Müntzer come eroico oppositore dei poteri feudali a difesa dei contadini. Il filosofo marxista Ernst Bloch (1885-77) dedicò a Müntzer un’opera importante (Thomas Müntzer als Theologe der Revolution, Kurt Wolff, München 1921, tr. it. Thomas Müntzer teologo della rivoluzione, Milano 1980), nella quale sosteneva che la sua teologia congiungeva, nella ‟volontà spirituale di rivoluzione”, il piano dell’azione politica al rovesciamento di quei valori terreni che puntavano al consolidamento della religione di Lutero con il nuovo ordine dello stato dei prìncipi. Müntzer diventava così espressione di una figura simbolica essenziale della storia: la ribellione dell’uomo all’autorità. Questa linea storiografica, fortemente ideologica, arrivò anche in Italia con la pubblicazione di una raccolta di scritti politici di Müntzer, a cura di Emidio Campi (Torino 1972). Colgo volentieri l’occasione per caldeggiare la lettura anche di quanto ha scritto lo storico Massimo Rubboli nella eccellente pubblicazione “Il retaggio della riforma radicale”, collegata al V° centenario della Riforma (1517-2017) (Genova, 2017).

«La Riforma, nel lungo periodo, provocò la frammentazione della cristianità europea e innescò un processo di nazionalizzazione della religione che portò alla formazione di chiese nazionali protestanti, che svolsero una funzione importante nella costruzione delle identità nazionali di paesi come l’Inghilterra, la Scozia, i Paesi Bassi e la Svezia, perché l’appartenenza a una comunità religiosa nazionale rafforzò il senso di appartenenza a una comunità politica. La grande importanza attribuita alla lettura personale della Scrittura portò non solo alla pubblicazione di edizioni critiche nelle lingue originali, che sostituirono la Vulgata per le traduzioni nelle lingue nazionali (mentre la diffusione della Bibbia in volgare fu proibita con la costituzione Dominici gregis custodiae del 24 marzo 1564), ma fu anche di stimolo alla diffusione dell’istruzione primaria. Infatti, il livello di analfabetismo diminuì sensibilmente laddove prevalse la Riforma e rimase alto nei paesi che restarono cattolici, come l’Italia e la Spagna. La Riforma non solo modificò profondamente il modo di intendere e vivere l’esperienza religiosa, ma contribuì in modo determinante alla trasformazione della vita sociale, politica ed economica. Desacralizzando l’istituzione ecclesiastica e il ruolo del clero e valorizzando l’impegno nel mondo secolare, la Riforma portò ad una ridefinizione sia dei rapporti tra la sfera spirituale e quella temporale sia del ruolo delle chiese nella società. I cambiamenti nell’ambito religioso favorirono anche il processo di desacralizzazione del potere politico nel mondo protestante».

Al momento in cui abbiamo cominciato a pensare a questo numero erano previsti ben più numerosi contributi, poi le circostanze non l’hanno permesso. Ringrazio, comunque, quanti hanno potuto e voluto collaborare a questo importante, numero che chiude i quaderni del 2017. Si chiude così con il numero 89 la ventitreesima annata di “Religioni e Società”.

 

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