A seguito della Summer School “Violenza e Religioni”
Ritenevo di conoscere il tema Violenza e Religioni ma ho dovuto ricredermi dinanzi alle numerose sfaccettature presentate dai qualificati ricercatori intervenuti alla Summer School 2016. In un mio commento a braccio mi sono permesso di sottolineare due aspetti che conoscevo meglio e che vorrei completare in queste righe.
Le migrazioni non sono un fatto di oggi, esse fanno parte dei primordi della storia dell’umanità. Cionondimeno, i movimenti migratori in atto rappresentano un fenomeno straordinario, si stima che siano 50-65 milioni di persone in movimento. Si tratta di persone che fuggono dalla Povertà in cerca di lavoro e libertà. Oggi sembra che sia l’Europa la meta preferita, un fatto inatteso che dovrebbe renderla orgogliosa di essere divenuta di nuovo attrattiva, questa volta pacificamente dopo l’esperienza traumatica delle invasioni di 1500 anni fa. Invece questa svolta storica viene vissuta come una minaccia o una sciagura. Invece, l’Europa ha urgente bisogno di questi milioni di profughi per correggere il grave deficit demografico che è all’origine del declino in corso, che non è solo economico. Senza un cambio di passo lo stesso contributo ideale e culturale europeo, unico al mondo, verrebbe meno. Le scienze sociali affermano che il primo fattore di una società sana è il capitale umano, ossia la popolazione in numero e qualità. Il deficit demografico, se non corretto, peserà sulla crescita di qui alla fine del secolo. Ce lo ricorda anche Th. Piketty che ha evidenziato il parallelismo fra crescita demografica e crescita economica nel periodo detto. Mentre per i paesi poveri egli prevede una crescita del 5%, i paesi ricchi (Nord-America, Europa occidentale, Giappone) cresceranno solo dell’1,2%. Pertanto mi sembra che si debba auspicare l’arrivo di milioni di migranti, che oltretutto sono giovani, pronti al lavoro e flessibili!!! Nulla è più cinico di un tale calcolo, ma niente è più sbagliato del rifiutarli. E’ il gioco la ripartenza dell’Europa e del nostro Paese.
In quel commento a braccio volli anche segnalare lo stretto legame fra violenza ed economia, e più specificatamente col neoliberismo, forma estrema del capitalismo del XX secolo, la cui fase di incubazione teorica risale dagli anni ’40 a Vienna al dopoguerra a Chicago. Le prove da laboratorio avvengono negli anni ’70, con Milton Friedman e i Chicago Boys, consiglieri di Pinochet e delle altre dittature in America Latina. Il Cile è ancora oggi governato con la Costituzione di Pinochet e l’economia è tuttora di stampo liberista. Il salto di qualità del neoliberismo avvenne nell’80, con la Thatcher (1979) e Reagan (1981) che imposero la nuova dottrina alla Banca Mondiale, al FMI, all’OCSE e, attraverso queste istituzioni, a tutti quei Paesi che chiedevano aiuti finanziari. Dagli anni ’90 in poi il neoliberismo ha guidato anche la ricostruzione dei Paesi ex-comunisti, e tramite questi, una volta divenuti membri dell’UE, è saltato l’equilibrio politico in seno alle stesse Istituzioni. Da allora ad oggi, il neoliberismo ha impregnato l’intera società, sia come modello economico sia come ideologia totalizzante.
Gli effetti sono stati eclatanti specie in Europa: l’aumento delle disuguaglianze sociali e dell’impoverimento, la crisi finanziaria del 2007, la susseguente crisi dell’economia reale, le politiche di austerità (laddove si richiedeva una politica di spesa) ed in più lo stallo della stssa costruzione europea in senso federale.
Più in generale, le disuguaglianze e l’impoverimento fomentano guerre civili e guerre regionali che a loro volta alimentano le migrazioni di milioni di individui.
Gli economisti neoliberisti si riuniscono regolarmente in seno alla Mont Pelerin Society, fondata nel 1947. La cosa ci potrebbe lasciare indifferenti, ma dovrebbe incuriosirci il fatto che per ben due volte la Presidenza di tale associazione è stata ricoperta da italiani (Bruno Leoni 67-68 e Martino 88-90 più volte Ministro). Ma sono rimasto veramente sorpreso nel leggere su La Repubblica del 12 agosto scorso, una lettera al direttore nella quale un grande (per me) insospettabile industriale italiano presentava la quintessenza del neoliberismo, proponendolo come pensiero guida per il Paese. Un documento da leggere. Dall’autobiografia dell’autore (su Wikipedia) leggo che presiede l’associazione culturale “Bruno Leoni”. Tutto torna. Il neoliberismo ce l’abbiamo in casa ai più alti livelli.
Chi combatte le disuguaglianze e la Povertà nel mondo non può ignorare il neoliberismo che si oppone a qualsiasi forma di ridistribuzione pubblica del benessere. Esso sostiene che lo Stato deve rimanere fuori dall’economia e non deve sperperare il pubblico danaro nel Welfare. I Poveri devono solo darsi da fare da soli.
Chi si preoccupa della Povertà nel mondo deve ricercare le cause remote e gli ostacoli alla soluzione e fra queste il neoliberismo, come pensiero e strategia. Negli Appunti sulla Povertà…e dopo? (pubblicato su asfer.it lo scorso aprile) si possono trovare utili riferimenti bibliografici fra i quali figurano non poche pubblicazioni in lingua italiana. Il pensiero keynesiano dopo il 2007 si è svegliato, ma non è ancora riuscito a permeare l’opinione pubblica.
Vittorio Campanelli
Sociologo, già Consigliere CE, ricercatore.