Lunedì, 17 Marzo 2025 16:13

Festa della Toscana 2024. Anticipazioni sugli atti del seminario

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Condividendo con i nostri lettori la relazione di Andrea Banchi, Passeggiando con Arnaldo nei labirinti del sacro, iniziamo a pubblicare alcuni dei testi alla base degli interventi che si sono succeduti alla Festa della Toscana 2024, dedicata alla figura di Arnaldo Nesti. A breve, i testi di tutte le relazioni formeranno gli atti del seminario che saranno pubblicati per Cisreco Edizioni.

Passeggiando con Arnaldo nei labirinti del sacro

 

Premessa

Già il titolo di questo mio intervento si presenta ammiccando all’amico Arnaldo, per muovermi senza fretta secondo le modalità che gli erano più gradite e più familiari. Non voglio in tal modo affatto sminuire le sue doti di studioso e i lusinghieri risultati ottenuti nella sua lunga attività accademica. Ma era lui per primo a non porsi da cattedratico in testa ad una gerarchia di esperti, a non ambire a ricoprire questo ruolo, e non potrei davvero figurarmelo così ora, che non è più ad ascoltarci sornione e attentissimo, con gli occhi socchiusi.

Neppure però desidero svolgere un intervento che non abbia contenuti specifici e si nutra solo dell’amicizia che mi ha legato al professore, perché non rispetterei il suo amabile conversare di temi anche ardui, pur con la leggerezza che lo contraddistingueva.

Il professor Cipriani ricordandolo in morte, su La Critica sociologica, nell’articolo dedicato alle sue caratteristiche d’uomo e di studioso, scrive che “è da rimarcare la sua straordinaria curiosità per il nuovo, per il non conosciuto, per l’eccentrico. Ecco perché sia nella rivista che nei suoi libri si ritrovano ricerche singolari, scoperte di prim’ordine, riferimenti desueti[1].

Un altro suo amico, Pietro Domenico Giovannoni su Rocca, fa memoria circa “l’onestà e la libertà intellettuale, la curiosità coinvolgente, una capacità di ascolto dialettico che rendeva le conversazioni con lui lezioni di vita e di studio[2].

Dunque chi lo ha conosciuto bene ne sottolinea la libertà di pensiero, la curiosità per le novità, la grande capacità di ascolto, la dote di saper cogliere punti di vicinanza e di sintesi tra realtà e fenomeni diversi, affabulandone una narrazione ricca di spunti e d’interessi diversificati.

A questo riguardo alcuni temi che sono stati ambito di studio e di approfondimento tipici del professore e che mi hanno da subito affascinato, divenendo miei interessi e mie passioni, s’incentrano sulla religione implicita, sul fai da te religioso, sul post o trans teismo.

È di questi argomenti dunque che vi parlerò, più legati tra di loro di quanto non appaia a prima vista.

 

Il religioso implicito 

In un editoriale del 1992 sulla sua rivista, Arnaldo Nesti parla di voler cogliere il futuro della società in alcuni motivi fortemente connessi all’humus emozionale della vita quotidiana. Tale futuro andrebbe dunque cercato non nei dettami della razionalità, ma piuttosto rintracciato nel vitalismo del sottosuolo segreto della vita. Poi richiama al nesso religione-(ir)razionalità-implicito, e più avanti esprime l’esigenza di “cercare al di là della luce esplicita, al di là dei sacri recinti, all’interno di aspetti dell’esperienza religiosa implicita[3].

L’anno seguente, in modo più ampio e organico, Nesti scrisse La religione implicita, e il volumetto riporta anche interventi di Severino Dianich e di Paolo Giannoni, perché si presenta come un confronto tra sociologi e teologi. In avvio Nesti afferma che “per capire la dinamica etico religiosa, connessa al vissuto dei soggetti, all’interno della società di massa, [è necessario] operare una ricerca al di là delle forme stilizzate e codificate, in profondità, ben oltre le mappe convenzionali[4].

La religione implicita è l’oggetto dell’attenzione: essa si riferisce a forme di spiritualità, valori e credenze che non si identificano formalmente con una religione istituzionale, ma che svolgono un ruolo analogo nella vita delle persone, offrendo significato, identità e orientamento morale. È un modo personale di intendere la religiosità che emerge nelle pratiche quotidiane, nei comportamenti, nei rituali sociali o negli ideali culturali che strutturano la vita delle persone, anche senza riferimenti espliciti a un dio o a una dottrina religiosa. Questi atteggiamenti, che si moltiplicano col procedere della secolarizzazione, prevedono l’abbandono delle chiese, l’accettazione del pluralismo, l’esaltazione dell’individuo non più in grado di reperire senso motivazione orientamento all’interno del tradizionale assetto della religione dominante, così che parallelamente vengono ricercati significati valori riti al di fuori dell’ambito religioso conosciuto.

Il religioso implicito aiuta ad esplorare e fare ordine all’interno della ricerca di senso, cogliendo apposite identità, al di là delle dicotomie sacro-profano, visibile-invisibile. Ha inoltre il merito di delegittimare le diffuse identificazioni tra religione e cultura e contribuisce a differenziare e a problematizzare le loro distinte realtà.

Grazie ad esso Nesti disegna una nuova mappa della morfologia religiosa che permette di indagare la stessa esperienza religiosa esplicita, evidenziandone ulteriori tratti. Elabora quindi nuove indicazioni metodologiche che risulteranno assai feconde negli anni a seguire, anzi saranno ulteriormente arricchite dalle ricerche sul campo che ne indicheranno alcuni proficui sviluppi.

L’uso della metafora, per il professore, è simbolo d’un sapere irrisolto, perché a differenza della similitudine che funziona in modo analogico, essa non fornisce in anticipo una proposizione, ma la suggerisce in modo enigmatico e inquietante. Allora far riferimento alle metafore della crisi novecentesca, con particolare riguardo alla cultura ebraica europea, non significa spiegare ma far solo intuire, abbandonandosi al loro senso implicito, senza lasciarsi mai completamente possedere. Vengono così evocate le metafore del viaggio, del mare, del deserto. Per Nesti la metafora diviene allora la maniera più adatta per indicare le nebulose della religione implicita[5].

Concludendo il professore afferma infine che “L’implicito spoglia il termine religioso delle sue accezioni più ovvie e comuni ma ne dilata altresì l’ambito e lo spessore. […]. Inoltre, consente di cogliere] il nocciolo dell’atteggiamento religioso, quale domanda di senso incondizionato, cioè di un significato ultimo e radicale dell’esistenza che evoca quindi l’esigenza di un riscatto o la ricerca di un’alterità che non è necessariamente ricerca di una salvezza ultramondana[6].

Il libro conduce a verificare, forse inevitabilmente, la irriducibilità delle visioni teologica e sociologica. Mentre i teologi cercano di definire, anche non rigidamente, in termini giuridico-dottrinali l’appartenenza o meno alla Chiesa, Nesti si muove invece secondo l’esigenza di costruire modalità empiriche di indagine che restituiscano la complessità del fenomeno della religione implicita, senza alcuna preoccupazione che riguardi la coerenza interna delle posizioni, o la sua razionalità, o le motivazioni riportate.

Oggi avremmo privilegiato un approccio pastorale, tipico del papato di Francesco, rilevando però che il procedere della secolarizzazione ha cambiato drasticamente molte situazioni. Ha infatti evidenziato uno iato crescente tra i cosiddetti credenti regolari e gli atei devoti, con numerose posizioni intermedie, ma tutti ancora considerati ugualmente cristiani. Al di là di questa definizione sbrigativa è ben evidente che esistono in realtà situazioni ben diverse, tutte da ridefinire, sia rispetto ai nuovi contesti sia per le modalità con cui si presentano religione, cultura, fede.

La religione implicita è quindi destinata a formare un contenitore ampio, che raggruppa molte delle novità che sono maturate nelle esperienze successive allo sgretolarsi della cristianità nella società pluralista e multiculturale che conosciamo.

 

Il fai da te religioso

Ho diviso per argomento la trattazione dei temi per comodità e chiarezza espositiva, ma sia cronologicamente, sia logicamente, questi studi s’intrecciano e si dipanano secondo collegamenti e modalità diverse, spesso con riferimento agli ambiti territoriali presi in esame.

Nei numerosi lavori che il professore mise in campo nella seconda parte degli anni Novanta del Novecento, nell’ambito della ricerca “Memoria, religione, identità”, finanziata in gran parte dal Dipartimento Studi Sociali dell’Università di Firenze, comparivano molte zone della Toscana interna in cui il passaggio dal mondo rurale e mezzadrile a quello industriale aveva frantumato l’unanimità di intenti, di valori, di comportamenti espressi da un mondo statico in cui religione e vita si fondevano in un’unica realtà.

Con numerosi collaboratori e studenti la ricerca si proponeva di indagare la religiosità in Toscana, per tracciarne un profilo contemporaneo collegandolo alla memoria. Furono messi a fuoco i temi di rilievo all’interno di questa poderosa transizione, attraverso ricerche sociologiche, nuove anche per l’apparato metodologico utilizzato.

Il cambiamento epocale, avvenuto con accelerazioni o ritardi a seconda dei territori, aveva infatti evidenziato una crescente e generalizzata ricerca di senso, che maturava lentamente, ma inesorabilmente, all’interno d’una adesione generalizzata al cattolicesimo. Questo avveniva inizialmente attraverso una differenziazione interna di una quota modesta di persone, in genere giovani, che erano in grado di assumere più consapevolezza dei cambiamenti in corso e che evidenziavano anche una marcata criticità. La differenziazione via via crescente non si manifestava subito come un’opposizione, ma in un quadro fermo, di religiosità d’abitudine, apriva scenari e stili di vita che privilegiando la soggettività determinavano degli accomodamenti morali di forte contrasto al quadro tradizionale. È quello che verrà descritto come un’adesione religiosa “a modo mio”. Non è dunque un caso che questo sia proprio il titolo del libro di Simona Scotti tratto dalla sua ricerca su Borgo San Lorenzo, svolta con elevata attenzione qualitativa[7].

Solo successivamente il ventaglio dei diversi modi di vivere la religiosità, i lifestyles, si aprirà davvero sfrangiandosi in tanti diversi rivoli, che, ferma restando l’autonomia individualistica, si nutrono d’un fantasioso bricolage sul piano simbolico-normativo. Sarà allora davvero importante che i ricercatori esplorino con modalità apposite cosa evocano ai soggetti in esame le parole vita, morte, corpo, natura, tempo, denaro, affinché svelino, forse persino a loro stessi, l’implicito religioso che recano.

I sociologi non dovrebbero aver rimpianti nel descrivere che “il gregge si è andato sparpagliando”, e il nostro professore non ne ha, mentre all’inizio del XXI secolo, proprio nell’Introduzione al volume della Scotti, illustra l’appartenenza labile al cattolicesimo, religione ancora diffusa ma divenuta quasi un contenitore di variegata tipologia, attraverso un’immagine emblematica: “Gli stendardi delle processioni resistono, sopravvivendo, ma garriscono, mossi da un vento stanco”. È una visione impietosa, specie per chi ha vissuto in giovinezza stagioni di diverso segno, quello d’una cristianità trionfante d’ambientazione romana. Ma la preoccupazione di Nesti è altra: mancano, sia all’interno del mondo che va frantumandosi, sia all’esterno, “i toni alti di una forte tensione esistenziale, di forti passioni” […] “di fronte alle gazzarre dei karaoke anche parrocchiali, ai brodi pietistico-devozionali, loro indifferenza al dolore, alle tragedie nel e del mondo”[8].

 

Il post teismo

Potremmo indicare che il post-teismo cerca il superamento dell’immagine teistica di Dio, che è quella di un essere dal potere soprannaturale e dai tratti antropomorfi e patriarcali, onnipotente e onnisciente, creatore, signore e giudice, che dimora al di fuori di questo mondo imperfetto e passeggero ed esercita il suo governo su di noi intervenendo “miracolosamente” nel dominio della natura. Ne derivano nuovi paradigmi per parlare al mondo contemporaneo, una ricerca spirituale e una riflessione sul mistero che va oltre la nostra capacità di comprensione.

Nesti iniziò ad approfondire il post teismo negli anni in cui cominciai a frequentare la sua casa. Avevo conosciuto meglio il professore solo durante la Summer School del 2018, proprio quella dedicata al tema “La religione oltre le religioni”, durante la quale la conoscenza degli autori del libro Oltre le religioni andava pian piano facendosi largo[9]. L’andavo a trovare frequentemente a casa sua, in Via Sant’Agostino, insieme a Marisa Ignesti. Conversavamo a largo raggio, su molti argomenti di attualità, sulle vicende del pontificato di Francesco, sui teologi di maggiore novità. Divenne usuale aprirsi anche a considerazioni personali. Il confronto, come fossimo al tavolo d’un caffè, si svolgeva con linguaggio quotidiano. Gli argomenti più leggeri erano però affrontati con la voglia di comprenderne gli aspetti profondi e meno ovvi. Arnaldo stava ruminando i temi che poi confluiranno ne L’incerto domani, in cui ritrovo gli echi di quelle nostre lunghe conversazioni nei capitoli finali di riflessione interiore, che vedono il pensiero religioso contemporaneo posto di fronte alla vita e alla morte.

Arnaldo faceva riferimento al pensiero del vescovo Spong in modo critico. Come ogni altra novità, che lo vedeva subito interessato a capirne il senso e i possibili sviluppi, anche in questo caso era rimasto affascinato dagli studi del teologo americano e dalle sue famose e dirompenti 12 tesi. Se Spong aveva abbandonato l’approccio giuridico e dottrinale per uniformarsi invece alla cultura contemporanea e alla conoscenza scientifica, per Nesti questa scelta era già più che matura, trattandosi di una delle ragioni che l’aveva fatto espellere dalla Chiesa che amava tanto. Dei post teisti apprezzava inoltre l’attenzione alla dimensione spirituale e il tentativo di una lettura della figura di Gesù autentica e profonda, secondo gli studi esegetici più moderni. Situava queste grandi novità dentro al cammino riformatore divenuto potente col Concilio Vaticano II e ne leggeva le prospettive con lo sguardo di altri personaggi. In particolare, con quello di Etty Hillesum e Dietrich Bonhoeffer, che potremmo considerare antesignani del post teismo, e ne sottolineava alcune loro forti affermazioni.

Particolarmente curata fu la presentazione della Summer School 2018, svolta da Nesti insieme con Luigi Berzano. Il primo trattò della nuova lettura della secolarizzazione da parte di Peter Berger e poi, dopo aver parlato del post teismo di Spong, mostrò una grande attenzione per Hillesum. Berzano, similmente, parlò della condizione secolare e dell’uomo secolare, come è ormai l’uomo medio contemporaneo, quello che vive la quarta secolarizzazione, ovvero autonomi stili di vita che l’individuo può costruire come proprio progetto di vita religiosa. Tra gli invitati all’iniziativa c’erano Don Ferdinando Sudati, traduttore e presentatore del vescovo episcopaliano in Italia[10], nonché Beatrice Jacopini, studiosa di Hillesum, di cui aveva appena pubblicato Il gelsomino e la pozzanghera, una antologia di brani scelti dai diari e dall’epistolario.

All’inizio del 2020 organizzai con l’Università dell’età libera del Mugello un ciclo di conferenze: “Vino nuovo in otri nuovi”. Incentrai l’attenzione sul post teismo, e invitai Arnaldo a parteciparvi con Simona Scotti, Claudia Fanti, Ferdinando Sudati[11]. Il professore venne volentieri, benché assai anziano, e in quella occasione scrisse un apposito testo per i partecipanti in cui concludeva che “le religioni così come le conosciamo siano destinate a lasciare spazio a qualcosa di nuovo e non ancora facilmente prevedibile, ma sicuramente aprendo all’insopprimibile dimensione spirituale dell’essere umano un futuro ricco di straordinarie possibilità”. Manifestava così un intento non certo polemico con le realtà ecclesiali ancorate alla tradizione cattolica, ma rilanciava verso prospettive di ampio respiro.

Quando gli feci conoscere una intervista che padre Ernesto Balducci aveva rilasciato nel 1992, poco prima di morire, ne rimase molto colpito tanto da inserirne un estratto nel libro che stava scrivendo. Lo scolopio affermava con forza che “per questo cristianesimo non c’è futuro”, e aggiungeva la necessità d’una conversione antropologica delle religioni di fronte all’uomo e alla sfida della sopravvivenza. “Il tempo nuovo è il superamento delle religioni, e quindi anche del cristianesimo così com’è” […]“Questo cristianesimo deve morire per dare frutto. Morire vuol dire ritrovare la propria fecondità sorgiva, il proprio annuncio profetico[12]. Accenti simili a quelli espressi sono presenti ne La terra del tramonto, dello stesso Balducci, che uscì nello stesso anno.

Il professor Nesti era convinto che l’umanità stia entrando in una nuova Età Assiale, secondo gli studi di Karl Jaspers[13], durante la quale si verifica un profondo cambiamento della spiritualità in senso evolutivo. Seguiva il teologo Josè Maria Vigil nella sua concezione del cambiamento radicale in atto, nell’ipotesi di una rifondazione della religiosità in senso post teista, e nella proposta del panenteismo per significare che Dio è immanente nell’universo, ma allo stesso tempo lo trascende[14]. La riflessione conduceva a concludere che nessuna religione poteva essere la via esclusiva di mediazione col Mistero. Tutte le religioni hanno aiutato l’umanità, ma nessuna può avere la pretesa di possedere la verità in modo esclusivo. Questa pretesa ci avrebbe fatto giungere a cruenti scontri di civiltà. Citava allora Panikkar che afferma “Chi ha trovato la verità è posseduto dalla verità, non ne è il padrone”. E poi continua: “La verità è relazione, è sempre un essere con l’altro, verità è relazione”[15].

Come dicevo Nesti era convinto del post teismo, ma la sua adesione non poteva essere acritica: aggiungeva questa sua nuova convinzione a tutte le altre sue ampie conoscenze, in una sorta di stratificazione di interessi diversi qual era quella che, chi lo ha praticato in casa sua, ritrovava esattamente nel materiale (appunti, giornali, stampe di ricerche on line) che si accumulava sulla scrivania dello studio sedimentandosi, quasi fosse una laminazione di arenaria, e lasciando in superficie solo le vicende su cui stava lavorando.

Era il suo modo di affermare che il post teismo non poteva essere l’ultima parola. Questa caratteristica nel ragionare, anche con se stesso, forse acuita dall’età, l’applicava non solo all’organizzazione dei suoi studi, ma anche agli interrogativi della vita. Sempre pronto a misurarsi col presente, non gettava via sbrigativamente il passato, certo che non è stato vano e che si riproporrà, chissà quando e chissà come, in un nuovo contesto. Occuparsi di religione lo aveva evidentemente abituato a riflettere che il tempo rapido non si addice alle decisioni profonde, quelle che procedono per smottamenti impercettibili e che si bloccano non appena paura ed insicurezze minacciano la stabilità emotiva.

Arnaldo si poneva interrogativi a largo raggio sull’umanità nuova, non confinati negli spazi eterei del dibattito teologico. Si chiedeva “come è possibile vivere fino in fondo l’esperienza del tramonto per trovare l’accesso ad una nuova alba della storia umana”[16]. Voleva così far capire che il superamento teista significava anche una svolta epocale rispetto alla supremazia dell’Occidente cristiano. Parlava dunque di decolonizzazione dell’immaginario ormai globalizzato, da attuarsi attraverso la distruzione della fede nel progresso e nell’economia, vera droga contemporanea. Serbava perciò qualche speranza nel futuro, pur sapendo che la sua stagione era al termine.

 

Andrea Banchi

 

Da qui puoi scaricare la relazione Passeggiando con Arnaldo nei labirinti del sacro.

 

Note 

[1]    Cfr. R. Cipriani, Arnaldo Nesti (1932-2024), innovatore e fondatore, in La Critica sociologica, trimestrale, anno LVIII, n. 231, autunno 2024, Pisa-Roma, Serra Editore, p. 84.

[2]    Cfr. P.D. Giovannoni,  Nesti, indagatore del mistero di Dio e dell’uomo, in Rocca, quindicinale, n. 22 del 15 novembre 2024, Assisi, p. 36.

[3]    Cfr. A. Nesti, Momenti del religioso: l’affettivo, l’irrazionale, l’implicito, in Religione e Società, quadrimestrale, n. 14, 1992, p. 6.

[4]    Cfr. A. Nesti, P. Giannoni, S. Dianich, La religione implicita. Sociologi e teologi a confronto, Bologna, EDB, 1993, p. 6.

[5]    Cfr. A. Nesti, P. Giannoni, S. Dianich, op. cit. p. 30.

[6]    Cfr. A. Nesti, P. Giannoni, S. Dianich, op. cit. p. 36.

[7]    Cfr. S. Scotti, A modo mio. Profili del cattolicesimo nel Mugello contemporaneo, Milano, Angeli, 2002. Il libro deriva dalla tesi di laurea: S. Scotti, I labirinti del sacro. Un’indagine sociologica a Borgo San Lorenzo, Università degli Studi di Firenze, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Pedagogia, a.a. 1999/2000, relatore prof. A. Nesti.

[8]    Cfr. Arnaldo Nesti, Introduzione, in Simona Scotti, A modo mio. Profili del cattolicesimo nel Mugello contemporaneo, op. cit. p. 12.

[9]    Il libro era uscito nel 2017, edito da Gabrielli. Ne erano curatori Claudia Fanti e Ferdinando Sudati, e riportava testi di John Shelby Spong, José Maria Vigil, Roger Lenaers, Maria Lopez Vigil.

[10]   L’opera finale e riassuntiva del pensiero di J. S. Spong, Incredibile, curata da F. Sudati, è stata pubblicata in Italia nel 2020 da Mimesis, nella collana Spiritualità senza Dio? curata da L. Berzano, che ne ha scritto anche la postfazione.

[11]   Le conferenze si tennero a Borgo San Lorenzo (FI) e furono videoregistrate. Possono essere visionate su YouTube nel canale dell’Università dell’età libera del Mugello.

[12]   dal video YouTube Ernesto Balducci: il superamento delle religioni, estratto da una più ampia intervista svolta nel 1992 da Tomas Angeli per Rai Tre. Nesti ne riporta la trascrizione alle pp. 83-84 de L’incerto domani. Spiragli spirituali, Roma, Aracne, 2020.

[13]   Cfr. K. Jaspers, Origine e senso della storia, Sesto S.Giovanni (MI), Mimesis, 2014. 

[14]   Questa parte fa riferimento al cap. 3 de L’incerto domani, in cui la lettura critica dell’Età Assiale di Jaspers da parte di Vigil propugna il nuovo paradigma post teista.

[15]   Cfr. R. Panikkar, Il tempo del perdono e la logica del nemico, in La Repubblica, 9.10.2007.

[16] Cfr. A. Nesti, L’incerto domani. Spiragli spirituali, op. cit. p. 19.

 

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