Finalmente (si dicono) conservatori. La possibilità di una critica politica
Le grandi masse elettorali sono sempre state mosse da due istanze, che a ben vedere sono due facce di una stessa medaglia. Si dice che si fa leva sugli istinti, sulla pancia, sulle paure ecc., e d’altronde i movimenti che nel Novecento italiano hanno avuto maggior fortuna si rifacevano all’idea di un’umanità rinnovata e di un mondo migliore. Tale fu il fascismo, per esempio, che prometteva una nuova era (con tanto di nuova numerazione degli anni), un uomo (italiano) nuovo e poi anche un impero (italiano), ma non troppo diversamente, sotto questo profilo, andarono le cose con il comunismo (italiano), altro fenomeno politico massivo la cui promessa di una nuova umanità si cristallizzava nella formula-richiamo al “sol dell’avvenir”. Sicurezza e prosperità sono però rovescio e correlativo della più “istintuale” condizione di incertezza verso il futuro, inevitabilmente incognito, e la più “attuale” paura, o presente disagio. Insomma, si pesca negli individui, nelle persone, cercando di persuaderle al meglio e, quel che conta, nella loro interezza –salvo, naturalmente, voler insistere sull’antiquata opposizione tra istinto e pensiero, pancia e idealità.
Questa premessa è necessaria per cominciare a uscire dalle gabbie in cui, come progressisti, ci siamo acconciati a vivere, gabbie che abbiamo creato con le nostre mani. Fare leva sulla pancia degli elettori, oltre a essere irriguardoso per l’intelligenza di tali persone, già di per sé non funziona, non produce effetti, è inefficace. Gli effetti, d’altra parte, si producono solo se tutto questo si va a innestare in un disegno più ampio, completo, integrale. In definitiva, se la destra disegna un suo ideale di società, lo ha sempre fatto e lo sta facendo, la sinistra, che da molto tempo è avvezza ad agitare spauracchi, non fa anch’essa leva sulla cosiddetta “pancia della gente”? È difficile pensare che una sinistra così da lungo tempo scomposta, smarrita e spaurita possa d’un tratto ritrovare il coraggio dell’utopia; certamente, finché non ci riuscirà vivrà alla stregua di un convalescente, se non di un malato terminale.
Mi piace pensare che Giorgia Meloni abbia chiuso con quella sciocchezza del sovranismo e sia giunta ad affermare, senza indugi o esitazioni, di incarnare la conservazione. Il sovranismo, di per sé concetto nobile della nostra Costituzione, negli ultimi tempi è stato ridotto a una keyword (parola chiave), anzi a una buzzword (sorta di parolina magica, molto in voga), a uso non di rado di volgari e violente campagne social. Perderci tempo implica peraltro entrare in un dibattito nel quale è maggiore il carico di sporco di cui ci si intride, o nella miglior ipotesi la clinica psicopatologica del delirio di realtà, che non la chiarezza delle questioni che mai si potrebbe sperare di apportare. Per un progressista il conservatorismo è un autentico e degno bersaglio polemico. E dunque finalmente, benvenuto!
Un volo d’uccello sull’aereo della Storia sembra chiarire le posizioni. Dove si schieravano i conservatori nel referendum del 1946 tra monarchia e repubblica? E in quelli su divorzio e aborto? E oggi riguardo l’educazione sessuale dei giovani in età scolare? Vogliamo parlare della condizione delle donne nel nostro mercato del lavoro, dove le poche che emergono, spesso, certo non sempre, trasudano mascolinità da tutti i pori? Vogliamo ragionare sulla libertà di ognuno a scegliere se e come porre termine alla propria vita? La carrellata di esempi, o casi, tratti dalla storia, antica, moderna e recente, è lunga, ma non censuriamoci. Riguardo l’Argentina della dittatura militare, o il Cile di Pinochet, che posizioni hanno assunto i conservatori? Oggi in Brasile, non starebbero con Bolsonaro? E ieri negli USA, non stavano forse con Trump? E con chi, nella Russia oggi, con Putin o con Navalny? E al tempo di Stalin, siamo sicuri che avrebbero abbracciato i dissidenti del regime comunista? Andando avanti, come si pone la conservazione con il gioco democratico della comunità scientifica, che per quanto denso di sfide e di insidie è pur sempre “giocabile”? Vediamo spesso atteggiamenti nostalgici verso lo gnosticismo, quasi che un passato originario –chissà, meraviglioso: ma senz’altro nulla più che ipotizzato– potesse tornare in vita. E ancora sulla condizione femminile, quali posizioni assume il conservatore, per restare nell’ambito di quella comunità di popoli che chiamiamo Europa, verso le disfacilitazioni delle “tirannide” orbaniana? Varcando il confine verso est, e rincarando la dose ma nell’invarianza del principio ispiratore, troviamo l’Afghanistan di oggi, le sue donne e i suoi talebani.
Il conservatorismo, così come il progressismo, prima che posizioni politiche sono condizioni dello spirito, inclinazioni e manifestazioni di un sentire. La spinta al progresso, così come un certo “istinto” a conservare, si trovano da sempre, in ogni luogo e, di particolare interesse per il quadro politico, con distribuzione trasversale.
C’è un elemento, apparentemente caro ma in realtà assai ostico per un animo conservatore: il problema della tradizione. La tradizione, a cui i conservatori si richiamano, altro non è stata, al suo primo apparire, che un’innovazione. Che poi si è felicemente imposta. Fin qui nothing new. Certamente individuiamo un filo rosso che unisce gli eventi, il divenire, ed è per questo che parliamo di tradizione. Dunque, non è fuori luogo parlare di tradizione e attribuire a questo termine il valore di una costante, cioè di qualcosa che permane e si rende identificabile. Tuttavia, non è controvertibile che i secoli siano stati attraversati dal cambiamento, dalla mutazione; in fondo è questa, per quanto possa apparir paradossale, la reale cifra della “costante” in questione. La tradizione, eccetto che nell’ansia oppositiva di chi resta aggrappato all’originaria (presunta e mai certa) rivelazione, reca inscritta l’impronta del suo continuo mutare. Il dato di realtà pare dunque risolversi nell’ineliminabile evolversi del mondo; l’umanità, dal canto suo, è impotente di fronte a tale mutevolezza. L’unico modo che viene in mente per riportare indietro l’orologio della storia è quello di fermare il moto dell’orbita terrestre, possibilmente a nuda forza di braccia umane, per poi imprimerle un moto di direzione opposta.
Per poter resistere, nell’incessante lotta per la vita, per trovare una collocazione nell’evolversi delle stagioni e delle epoche, il progressista accetta la sfida, sta al gioco, anche se non di rado appare come un cavaliere che cade vittima di un eccesso prometeico, e finisce, costretto come si trova, per rinunciare alla garanzia di un qualche dio provvidente, garanzia che a ben vedere in altro non si riduce che nel “prestigio” attribuitogli poiché prodigioso creatore dell’aureo periodo originario.
Il conservatore, al contrario, da quando il mondo è mondo, vive la trasformazione (il volgarmente detto “nuovo”) con un misto di angoscia, timore e scetticismo. Di fronte all’evolversi delle cose è costretto trincerarsi nei suoi “no”.
Ora, se il mutamento è la costante che la tradizione reca in sé quale cifra distintiva, ne deriva che il conservatore è strutturalmente, fisiologicamente costretto a negare. La sua sconcertata oppositività lo rende proclive alla menzogna, e in effetti è proprio su questo punto che si riscontra la sua acclarata abilità nel sofisma della conversazione. D’altronde mentire chiama in causa il linguaggio, e non è troppo difficile dimostrare, linguisticamente (in quale modo altrimenti?), quali sono le più tipiche mosse del gioco linguistico della manipolazione conservatrice.
Le scienze del linguaggio chiamano in causa la scienza in generale. Eppure, la scienza come il mondo oggi la intende è nemica della gnosi di cui si nutre (e con cui recalcitra) la destra più radicale. Che cosa ci possiamo aspettare, da un conservatore, di fronte alla questione del cambiamento climatico? Non è questo lo spazio per dilungarsi e basterà una parola, che non tarderà a manifestarsi, sempre che non lo abbia già fatto: “no climate change”, ovvia e strutturale conseguenza del “no*” (mask, vax ecc.). Perché si sa, gli scienziati fanno parte delle lobby, magari di ebrei e/o omosessuali, dirette dalle grandi multinazionali (certamente gestite da comunisti, no?). E di qui il tipico atteggiamento da doppia verità di coloro che, come questi conservatori e forse i conservatori tutti, la menzogna non possono non abitare.